Milano, 12 settembre 2023 – Otto persone, tra fisiche e giuridiche, a processo. E’ la richiesta della Procura di Verbania per l'incidente della Funivia del Mottarone, in cui i morti furono 14, unico superstite il piccolo Eitan. Le indagini coordinate dal Procuratore Olimpia Bossi e dal pm Laura Carrera, sono state chiuse il 19 maggio scorso, due giorni prima del secondo anniversario della tragedia avvenuta il 23 maggio del 2021. Intanto proseguono le trattative per quanto riguarda i risarcimenti alle parti offese che, in caso di accordo, potrebbero uscire dal procedimento.
Otto a processo
Si tratta, oltre alle due società, di Luigi Nerini, titolare della Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, allora rispettivamente direttore d'esercizio e capo servizio dell'impianto e, per Leitner, il gruppo incaricato della manutenzione, Anton Seeber, presidente del cda, Martin Leitner, consigliere delegato e Peter Rabanser, responsabile del Customer Service. Mentre si era proceduto allo stralcio delle posizioni poi archiviate di 6 tecnici di ditte esterne che, in subappalto, si erano occupate di controlli e lavori sulla funivia e della realizzazione della testa fusa.
Le accuse
Le accuse contestate a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e solo per Tadini e Perocchio anche il falso. Ora la parola passa al gup.
Ma cosa è accaduto quel 23 maggio di due anni fa? “A seguito della rottura della fune traente superiore della cabina numero 3 in prossimità del punto di innesto della fune al carrello (testa fusa) - era scritto nell'avviso di chiusura delle indagini - la cabina n. 3, ormai prossima all'arrivo nella stazione finale del Mottarone, non si arrestava sospesa alla fune portante, come, invece, sarebbe dovuto accadere se non fossero stati apposti i forchettoni, ma, trascinata dal tiro della fune traente inferiore, retrocedeva verso valle in direzione Stresa, località Alpino, acquistando sempre maggior velocità e, dopo una corsa di oltre 400 metri, raggiunto il pilone 3 della tratta Alpino Mottarone, si sganciava dalla fune portante, precipitando al suolo dall'altezza di circa 17 metri, schiantandosi a terra e proseguendo la sua corsa a causa dell'elevata pendenza del terreno, per, poi, collidere contro un albero di alto fusto”.
A monte del comportamento doloso, secondo la Procura ci sono una serie di comportamenti colposi che la Procura definisce “negligenza, imprudenza e imperizia e nella violazione di specifiche norme di legge e/o regolamentari”. In particolare, spiegava la Procura nell'avviso di chiusura delle indagini, questi comportamenti sono consistiti “nella mancata esecuzione dei controlli a vista mensili sul tratto di fune traente in prossimita' del punto di innesto al carrello”, controlli che, “ove effettuati, avrebbero consentito di rilevare i segnali di degrado della fune e di portare, in presenza della rottura anche di un solo filo o di segni di corrosione () alla dismissione della fune, che, invece, si deteriorava progressivamente, sino a rompersi in corrispondenza dell'innesto del carrello punto in cui la fune presentava il 68% circa dei fili con superfici di frattura riconducibili a fenomeni di fatica e fatica/corrosione”.
L’inchiesta
Dunque, sono due gli elementi al centro dell'inchiesta: le ragioni per cui la fune traente si spezzò e il mancato funzionamento del sistema frenante di sicurezza, dovuto all'inserimento dei cosiddetti forchettoni. Per accertare le cause dell'incidente sono state prodotte due perizie, depositate nel settembre dello scorso anno e successivamente discusse nel corso dell'incidente probatorio tra ottobre e dicembre, che hanno rilevato che la fune era corrosa ben prima dell'incidente e che una corretta manutenzione avrebbe potuto rilevarlo.