DARIO CRIPPA
Cronaca

Nicholas Green, il gesto d’amore che 30 anni fa cambiò l’Italia

Era il 29 settembre 1994 quando accadde la tragedia che cambiò per sempre la vita della famiglia, partita dagli Usa per una vacanza. Reginald Green, 95 anni: “Grazie a mio figlio salvate otto persone. Felice che grazie al nostro gesto oggi molte persone possano contare su questo dono”

I coniugi Green con i volontari Aido di Giussano  e Maria Frigerio, cardiologa dei trapianti a Niguarda dal 1990 al 2021 e scrittrice

I coniugi Green con i volontari Aido di Giussano e Maria Frigerio, cardiologa dei trapianti a Niguarda dal 1990 al 2021 e scrittrice

Monza – Reginald Green è elegantissimo nel suo abito blu scuro e cravatta lilla ma non trotterella più come una volta, cammina adagio e circospetto, aiutandosi con un bastone. Del resto, si è rotto il femore qualche mese fa, ha 95 anni e mezzo e anche il suo fisico reclama più calma. Fortuna vuole che al suo fianco c’è sempre sua moglie Maggie, che di anni ne ha 62 ma quando arriva il momento di incontrare la stampa e i medici del Niguarda di Milano, dove li ha portarti il loro tour per sostenere le donazioni e i trapianti, partono spediti come un’orchestra.

“È la quindicesima volta che sono qui (una cinquantina in Italia) – comincia Reginald - dopo che hanno sparato a Nicholas e sono molto contento del legame speciale che si è creato con questo Paese, grazie a Nicholas si sono salvate otto persone con i prelievi di pelle, organi, cornee, quindi sono molto contento che grazie a questo gesto fatto trent’anni fa oggi ci siano molte persone che abbiano potuto contare su questo dono”.

Il 29 settembre di 30 anni fa 

Già. Era il 29 settembre di 30 anni fa quando accadde l’evento che avrebbe cambiato la vita della famiglia Green, partita dalla loro casa di Bodega Bay, negli States, per un viaggio ci piacere assieme ai figlioletti Nicholas, 7 anni, e la sorellina Eleanor, che di anni ne aveva 4. Il resto è cronaca. Sulla Salerno-Reggio Calabria la loro macchina viene affiancata da due banditi, convinti di avere a che fare con un gioielliere. I banditi sparano contro la vettura, un proiettile colpisce Nicholas alla testa. Morirà il 1° ottobre all’ospedale di Messina.

Quella scelta che ha salvato otto vite

“Molti ricordi si affollano nella mia mente – diceva Reg -, ma il più vivido è lo choc che provai quel giorno quando fermai l’auto, guardai Nicholas e vidi la sua lingua sporgere in fuori e una traccia di vomito sul suo mento. Quello fu il primo istante in cui mi resi conto che uno dei proiettili che ci avevano sparato lo aveva colpito. Posso ancora vedere quel terribile momento nella mia mente come se fosse accaduto ieri". E i coniugi Green fanno la loro scelta. Donare gli organi e i tessuti di Ncholas. “Ci sedemmo insieme e ci guardammo negli occhi. Non avemmo dubbi”.

Un gesto spartiacque 

Il loro gesto si rivela uno spartiacque. L’Italia (e il resto del mondo) si commuove. Le donazioni, prima al lumicino, diventano una pratica ricorrente. Migliaia di vite verranno salvate. Centocinquanta fra scuole, parchi, edifici pubblici vengono intitolati a Nicholas. “Abbiamo speso poco tempo a crucciarci su quello che era successo in quei terribili giorni – riflette Maggie - ma molto più tempo a gioire in qualche modo per quello che siamo riusciti a fare dopo, a ridare vita e ridare speranza grazie a quello che è successo dopo che Nicholas fu ucciso... quindi in qualche modo le cose si sono ribaltate, da un evento tremendo nacque qualcosa che ha ridato vita e ha ridato speranza. Non ce ne siamo mai pentiti”. L’Italia passò dal terz’ultimo posto in Europa per donazioni al secondo.

“Siamo molto fieri di quello che è successo in Italia, grazie alla storia di Nicholas ha avuto un grande balzo in avanti nella donazione degli organi, è una storia che ha cambiato in realtà tutto il Mondo, ma nessuno come l’Italia ha avuto capacità di fare tesoro e valorizzare quanto successo per fare questo grandissimo salto nella donazione”.

Il viaggio 30 anni dopo la tragedia 

Per il trentennale di quel giorno la famiglia Green è tornata in Italia, in visita a Roma, Milano e Messina. “Questi tre posti hanno forte connessione con Nicholas e la sua storia: Roma perché è la capitale e si concentra l’attenzione dei media e quindi si può massimizzare il messaggio che vogliamo dare; l’ospedale Niguarda di Milano perché è il centro di riferimento dei trapianti e può essere dunque il veicolo perfetto per raccontare questa storia e l’effetto che una donazione può avere; e Messina perché è l’ospedale in cui Nicholas è morto e da cui tutto è partito”.

Nicholas è nella storia di questo Paese, avete mai pensato a cosa sarebbe diventato da grande? “Non riusciamo a immaginarlo perché più passa il tempo più è difficile immaginare quale sarebbe stato il suo potenziale futuro. Eleanor, la sorella di Nicholas, è cresciuta, ha avuto dei figli e quindi di lei abbiamo potuto vedere un percorso definito… Non vogliamo fossilizzarci su quale avrebbe potuto essere il suo destino e cosa Nicholas sarebbe potuto diventare, quello che ci piace ricordare è il suo simbolo che è diventato e il suo significato e il tempo che abbiamo potuto passare insieme con lui”.

C’è un dato curioso, in questi anni avete stretto un legame particolare con Giussano, piccolo paese ai confini fra la Brianza e Milano. Ci siete stati più che in ogni altra città italiana, anche stavolta una loro folta delegazione è venuta al Niguarda per voi. Perché?

“Perché abbiamo un legame speciale con la sezione locale dell’Aido, l’associazione italiana donatori organi: è il vero motore trainante per l’attività di donazione del territorio. E poi per la vicinanza e solidarietà che ci hanno sempre dimostrato. Infine per il veicolo che sono riusciti a creare nella donazione di organi”.

Non avete mai dimostrato risentimento verso l’Italia..

“Le persone che hanno fatto quello che hanno fatto sono ovviamente pericolose e hanno fatto male a Nicholas ma anche a tante altre persone. Non c’è rabbia però verso queste persone ma verso quello che hanno fatto. Ma il vero senso è che la storia di Nicholas è più forte di quello che è capitato a lui come bambino e quindi è questo che ci dà la forza e l’energia di andare vanti e di immaginare il risvolto bello e positivo di quello che è capitato. Trent'anni fa Nicholas ha perso il suo futuro, ma qualcun altro poteva avere quel futuro grazie a lui: sapevamo che era quello che avrebbe voluto. E non ce ne siamo mai rammaricati nemmeno per un momento. C'è però una domanda che pochissimi si pongono ed è: cosa farei, se mi chiedessero di donare gli organi di qualcuno che amo?

La campagna che abbiamo portato avanti per trent'anni si basa su quest'idea: è molto più probabile che le persone donino gli organi se le loro menti sono preparate alla scelta. Ma non è affatto semplice, quando un proprio caro muore improvvisamente: bisogna prendere una decisione su un argomento piuttosto spaventoso a cui si aveva a malapena pensato. Per molte persone è troppo e dicono 'no', rendendosi conto solo più tardi di aver rinunciato a quella che probabilmente è la migliore opportunità che avranno mai per rendere il mondo un posto migliore. Per questo raccontiamo la storia di Nicholas: la nostra speranza è che anche nei momenti sconvolgenti in cui arriva la morte, le persone ricordino quanto fossero commosse quando avevano letto sui giornali o visto in televisione la storia di una famiglia che aveva contribuito a salvare degli sconosciuti. E che grazie a quello, compiano la scelta giusta".