NICOLA BARONI
Cronaca

Mario Cottarelli e la sua battaglia: "Basta parolacce, sono come le sigarette"

Nato a Cremona, fratello di "mister forbici" Carlo, e la sua campagna d'avanguardia

IMPEGNO Mario Cottarelli, polistrumentista e compositore, classe ’56 autore di “Parliamo di parolacce senza dir parolacce” A destra, bambino con il fratello Carlo al mare

Milano, 23 luglio 2018 - «Ammetto che ogni tanto dico cazzarola...» confessa Mario Cottarelli, autore di “Parliamo di parolacce senza dire parolacce” (Pascal editrice), pamphlet contro il turpiloquio, che secondo lui starebbe contaminando la società e la psicologia di tutti senza trovare opposizione. Nato a Cremona nel 1956, Cottarelli è polistrumentista e compositore e negli anni ha scritto brani per orchestre e inciso due cd di progressive-rock. Con la sua ultima fatica, si scaglia contro una cosa che non ha mai sopportato: il parlar scurrile.

Dottor Cottarelli, anche a lei ogni tanto scapperà una parolaccia...

«Può capitarmi in un momento di rabbia, ma cerco di trattenermi, anche per questione di coerenza. Oppure la trasformo al volo: dico vaffanbagno o cazzarola. Cazzarola, pur essendo il diminutivo di un turpiloquio, è anche sinonimo di casseruola. Si può dire senza infastidire nessuno».

Ma la parolaccia è uno sfogo verbale innocuo. Lei stesso dice che deve trattenersi per non dirne: reprimerle fa bene?

«È uno sfogo che, se anche rilassa chi lo compie, irrita chi gli sta attorno. Ho constatato personalmente che, come me, sono moltissime le persone infastidite dalle parolacce. È un po’ come una sigaretta: rilassa al momento, ma con effetti collaterali negativi. Inoltre sono molte le parolacce a freddo, totalmente gratuite».

Cosa si guadagna ad autocensurarsi?

«Eliminare le parolacce significa ritrovare l’armonia, la serenità di un bambino che se viene educato senza parolacce poi le trova sgradevoli quando le sente. Dovremmo imitare il senso dell’equilibrio, la limpidezza e l’armonia dei bambini».

Come reagisce a quelle altrui?

«Le accetto con fastidio. Le persone infastidite dalle parolacce non escono allo scoperto, temono di venire additate come retrograde».

La sua sembra in effetti una battaglia anacronistica.

«Al contrario: avanguardistica. L’eccessivo uso delle parolacce, soprattutto di tipo sessuale, deriva da un rapporto nevrotico e ansioso con la sessualità inculcatoci alla nascita: basti osservare come i giovani oggi vivono il sesso. Nel Kamasutra il pene viene chiamato “stelo di giada” e la vagina “porta di giada”, mentre i latini li chiamavano “mentula” e “cunnus”. Parole di una musicalità che è specchio del rapporto sereno che questi popoli avevano con il sesso. Da noi invece una bella ragazza è additata con l’espressione volgare usata per indicare il suo organo genitale. Non capisco come questo non generi un senso di ribellione, neppure tra le sedicenti femministe».

Vorrebbe censurare ogni parolaccia?

«Non invoco la censura. Basterebbe riconoscere che è una forma di inquinamento. Riconosciuto questo, si potrebbero fare campagne contro il loro uso: non reprimere ma raccomandare, educare».

Da quanto è ossessionato a questo problema?

«Da una ventina d’anni. Lo stimolo a scriverne mi è venuto quando mio fratello Carlo ha scritto il suo primo libro di economia in italiano: è stato uno sprone per me».

Carlo dice parolacce?

«Non più della media, anche lui quando si innervosisce».

Qualcuno che ne dice troppe?

«Sgarbi e Grillo le usano in modo del tutto gratuito, che è ancora più grave. Questo non fa che rivelare il loro malessere interiore».

Ci sono luoghi d’Italia in cui se ne dicono di più?

«Mi è sempre sembrato che a Milano se ne dicessero molte, forse perché è una grande e nevrotica metropoli. Ma forse ora che se ne dicono molte ovunque la differenza non si nota».

La prima parolaccia che ha sentito?

«All’asilo ne conoscevo due: il termine volgare per le feci e quello per il sedere. Poi a dieci anni sono arrivate tutte le altre».