FEDERICA PACELLA
Cronaca

Peste suina africana, c’è l’allevamento zero: “Maiali sepolti di nascosto”. Da qui è partito il contagio che fa tremare la Lombardia

Una stalla di Vernate ha occultato le carcasse. Il titolare ha lavorato anche in altre cascine. Fra Lodi, Milano e Pavia 58.656 capi coinvolti e dei nuovi casi non si conosce ancora l’origine

Peste suina africana, ricostruita la catena del contagio e degli errori

Peste suina africana, ricostruita la catena del contagio e degli errori

Milano, 31 agosto 2024 –  Sottovalutazione delle misure di biosicurezza, ma anche gravi ritardi nel segnalare i primi casi di Psa, che hanno innescato la pandemia di peste suina che sta facendo tremare un intero comparto. La catena degli errori e dei contagi è stata ricostruita da Mario Chiari, direzione generale welfare di Regione Lombardia, sub commissario Psa, intervenuto nel convegno promosso da Confagricoltura Brescia nell’ambito della Fiera agricola di Orzinuovi, diventato un webinar (tutto da remoto) dopo l’ordinanza di giovedì del commissario per la Psa che, tra le varie misure, ha vietato gli assembramenti di allevatori.

“A luglio – ha spiegato Chiari – grazie all’attività di abbattimento e ricerca di carcasse di cinghiali nel Parco del Ticino, abbiamo registrato un’alta presenza di virus nell’ambiente”. L’innesco è stato, quindi, la presenza di virus in cinghiali all’interno di una zona vicina agli allevamenti dove, in effetti, si sono registrati i primi focolai. Il primo è stato quello di Basate, un allevamento a conduzione famigliare con 500 suini, di cui 80 riproduttori, non in filiera e quindi senza uscita di animali a rischio. Poi la diffusione è stata tra Milano, Pavia, Lodi, con distanze molto importanti tra i focolai. Tuttavia, la falla è stata riscontrata nell’allevamento di Vernate, ufficialmente quarto focolaio, ma probabilmente il primo a essere realmente contagiato.

“Le scarse misure di biosicurezza nell’allevamento di Vernate hanno determinato l’ingresso della malattia. C’è stato un ritardo molto importante – ha proseguito Chiari – nella segnalazione, perché da quello che è emerso dall’indagine congiunta con i Nas, sono state riscontrate una ventina di carcasse sotterrate nel retro dell’allevamento, tutte positive al virus”.

In corso anche le indagini dei Nas rispetto ai veterinari dell’Ats. “Sicuramente saranno presi dei provvedimenti, perché in questo allevamento erano pressoché assenti misure di biosicurezza. Il medesimo allevatore ha prestato opera anche in altri allevamenti, e il veterinario aziendale, nell’inconsapevolezza, si è mosso sul territorio. Questo ha generato almeno 8 focolai ed è stato l’innesco dell’epidemia sul territorio regionale”. Al 29 agosto, risultano in Lombardia 17 focolai, tra Pavia, Lodi e Milano, per un totale di 58.656 capi coinvolti. Per tutti sono stati messi in campo i provvedimenti per evitare il contagio, con la ricostruzione anche della catena dei contatti, indagini epidemiologiche e blocco delle movimentazioni. Per ora non risultano focolai tra i contatti dei casi noti così come non ci sono positività tra i veterinari ufficiali. La situazione, però, non è rosea.

“Gli ultimi focolai – prosegue Chiari – non trovano giustificazione nei movimenti legati ai primi, per cui, rispetto a 3 settimane fa, siamo in una situazione che non è così delineata. Per questo servono misure forti per mitigare qualunque fonte di diffusione del virus”. Per ora, al netto dell’innesco legato ai cinghiali, in Lombardia, il contagio ha viaggiato soprattutto tramite la movimentazione di persone (mani, calzature) e attrezzature, mentre non ci sono stati casi di contagio derivante dall’alimentazione degli animali. La gestione all’interno degli allevamenti può fare la differenza. “Spostare gli animali con la febbre in infermeria o, in generale, la manipolazione porta alla diffusione del virus tra gli altri capi”, sottolinea Chiari. Va ricordato che la peste suina non è pericolosa per l’uomo, ma è estremamente contagiosa e letale per i suini. Presente anche nel resto d’Europa, per la Lombardia può rappresentare un danno economico a parecchi zeri, considerando che qui si alleva il 40% dei suini d’Italia: 30 miliardi di reddito per la mancata esportazione.