“L’Italia è il Paese che amo”: e la politica non fu più la stessa. È il 26 gennaio 1994. Quasi 30 anni fa. Silvio Berlusconi – morto oggi all’età di 86 anni – in un discorso di 9 minuti, reso noto attraverso un messaggio preregistrato dallo stesso futuro leader di Forza Italia su un set approntato nel giardino della villa di Macherio, annuncia il suo ingresso in politica. L’incipit - che contiene, appunto, la sua dichiarazione d'amore per l’Italia – rimarrà per sempre nella storia nazionale, diventando anche oggetto di parodie e sberleffi. Quell’intervento diventerà noto come “discorso della discesa in campo”.
Prima di Forza Italia
Le voci su un possibile ingresso del Cavaliere in politica erano ricorrenti e si erano fatte sempre più “calde” nel periodo della crisi della Prima Repubblica, seguito all’uragano Tangentopoli. Del resto la vicinanza di Berlusconi alle posizione del Psi e la sua amicizia personale con il leader del Garofano Bettino Craxi, lui stesso travolto dalle inchieste del pool Mani Pulite, erano fatto risaputo.
Nel novembre del 1993, rispondendo alle domande di alcuni giornalisti sulle elezioni amministrative di Roma, il fondatore dell'impero televisivo Mediaset si esprime a favore di Gianfranco Fini, il segretario dell’Msi, partito post-fascista, antenato di Fratelli d’Italia. “Se fossi di Roma voterei per lui”, dice. Nella storiografia dell’età contemporanea quelle parole non rappresentano solo una dichiarazione di preferenza, ma il primo passo della costruzione di un’alleanza di centrodestra che includa anche gli eredi di Giorgio Almirante, ex redattore della rivista fascista La difesa della razza, da sempre esclusi – almeno ufficialmente – da qualsiasi partecipazione al governo del Paese.
Test e sondaggi sul gradimento degli italiani di un partito targato Berlusconi, del resto, sono già iniziati. E sono condotti come vere ricerche di mercato. Così come la prima selezione del personale, orchestrata anche dal fedelissimo Marcello Dell’Utri, scegliendo fra i venditori Publitalia.
La discesa in campo
Sua Emittenza rompe gli indugi nelle ultime settimane del 1993, quando i sondaggi prevedono una vittoria dell’alleanza progressista, la “gioiosa macchina da guerra” guidata dal Pds di Achille Occhetto, il segretario che ha messo in soffitta il Pci e il simbolo della falce e martello, confinato in un bollino ai piedi di una quercia.
Berlusconi, da sempre animato da un appassionato fervore anticomunista e forse timoroso per possibili ripercussioni sul suo dominio nel campo della tv privata, debutta con un “coup de theatre” da consumato uomo di spettacolo - il discorso di cui sopra – e intanto inizia a tessere la tela delle alleanze. Dice addio alla tentazione centrista (troppo deboli e troppo inclini a compromessi con la sinistra il Patto di Mario Segni, ex trionfatore del referendum sul maggioritario, e il Ppi di Mino Martinazzoli) e sfonda deciso a destra.
Il discorso
Nei nove minuti registrati e videotrasmessi c’è già una summa del berlusconismo. Il set allestito all'aperto, in una sorta di cantiere nel giardino della villa di Macherio, che la magia della finzione tv trasforma in uno studio benedetto da una tranquillizzante luce soffusa. Lo sguardo fisso in camera e la voce ora ferma, ora rassicurante. La foto di famiglia sulla mensola della libreria alle spalle. La leggenda – poi sfatata – di una calza piazzata sulla lente della telecamera a cancellare le rughe (“Utilizzammo solo qualche accorgimento tecnico”, dirà in una successiva intervista Roberto Gasparotti, storico cameramen del Cav).
Il contenuto, poi. L’avvio e la chiusura a effetto, a promettere un “nuovo miracolo italiano”. Il virulento attacco alla sinistra, “gli orfani e nostalgici del comunismo” che costituirebbero l’alleanza progressista (che in realtà andava dal rosso di Rifondazione comunista al rosino tenue di Alleanza democratica e Cristiano sociali). Il richiamo alle “forze liberali e democratiche”. Il riferimento, lasciato cadere quasi distrattamente, a quello che sarà uno dei nomi dell’alleanza, il “Polo delle libertà” che si farebbe garante, appunto, della tutela della libertà che un’eventuale vittoria di Occhetto e i suoi sodali potrebbe conculcare. L’enunciazione dei valori che innerveranno la proposta politica: “Crediamo nell'individuo, nella famiglia, nell'impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell'efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà”. La “rivoluzione liberale” non è niente di particolarmente nuovo. Ma quello che è importante è che sappia di nuovo.
Il partito
Nel discorso non manca la rivelazione del nome del partito. Si chiamerà “Forza Italia” e sarà “una libera organizzazione di elettrici e di elettori di tipo totalmente nuovo”. Il Cavaliere pesca il nome da uno degli ambiti in cui ha avuto più successo, quello dello sport. Non a caso, nelle future dichiarazioni, dirà – più o meno - di voler fare l’Italia a immagine del Milan che, con lui presidente, ha trionfato in Italia, in Europa e nel mondo. Anche il simbolo, che rivelerà successivamente, ricorda un tricolore da stadio. Una sorta di drappo rosso e verde con la scritta-slogan Forza Italia in bianco.
La vittoria elettorale
Fatto il partito, ora va fatta l’alleanza. Il tempo stringe. Ma Berlusconi riesce a “inventarsi” la formula giusta, con un’alleanza strutturata sul doppio binario. Al Nord si presenta il Polo della Libertà, formato da Forza Italia e dalla Lega Nord di Umberto Bossi. Insieme i due partiti fanno incetta del voto in libera uscita dell’elettorato moderato e borghese, orfano di DC e Psi. Al Sud tocca al Polo del Buon governo, sull’asse consolidato da Forza Italia con Alleanza Nazionale, ovvero il Msi di Fini “ripulito” nelle acque di Fiuggi e sdoganato dal Cavaliere, che si fa garante della legittimità democratica degli (ex) neofascisti. Un'intesa che consente di assicurarsi i voti neri ma anche di guadagnarsi le preferenze di chi, magari, pur con convinzioni ultra conservatrici, aveva sempre esitato a mettere la croce sul simbolo della fiamma tricolore. Al cocktail aggiungete spiccioli di democristiani in libera uscita e i radicali dell’istrione liberal-liberista Marco Pannella.
Il risultato è una vittoria travolgente. A Berlusconi riesce, almeno in campagna elettorale, il “miracolo” di tenere insieme le diverse anime della coalizione, anche grazie alle “desistenze” della Lega (allora praticamente assente al sud e impegnata a fare la faccia feroce fin a pochi giorni, sventolando la bandiera presto ammainata del “mai al governo con i fascisti”) e di An (che lascia campo libero agli azzurri e al Carroccio al Nord). Si forma il governo Berlusconi I. Il presidente del consiglio è proprio Sua Emittenza.
L’esperienza durerà appena sette mesi. Toccherà a Bossi far cadere l’amico Silvio, ribattezzato Berluskaiser per l’occasione, dopo una serie di baruffe politiche, in particolare su una possibile riforma delle pensioni. Ma questa è un’altra storia.