Milano - Un gioco innocente, come "Un, due, tre, stella!" nella serie televisiva di Squid Game diventa mortale. Come tutti gli altri. E il pericolo ha già oltrepassato lo schermo: "I bambini mimano il gesto di sparare con una pistola invisibile, o lanciano oggetti per far cadere chi si muove", è una delle segnalazioni arrivate dalla Lombardia a Fondazione Carolina, la onlus dedicata a Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo in Italia. Una mamma dell’hinterland milanese ha telefonato "preoccupata per i ripetuti attacchi, fisici e psicologici subiti dal figlio nelle ore di lezione", perché si rifiutava di giocare.
Ancora, "una maestra di scuola primaria del Comasco ha scritto alla mail del nostro pronto intervento (Re.Te.) spiegando che i bambini usano felpe e giubbotti per giocare al tiro alla fune. Chi vince può picchiare i perdenti". E poi prende sempre più piede "la pratica di rovesciare gli zaini, a terra o fuori dalla finestra. Come punizione". Atteggiamenti violenti si registrano persino nelle scuole dell’Infanzia.
Paolo Picchio, papà di Carolina, presidente onorario della Fondazione, parla ai genitori: "Troppo spesso sottovalutano i rischi legati all’uso distorto e inconsapevole della rete – sottolinea –. Molti non credono che i propri figli possano avere problemi di questo tipo. Ma l’assenza di educazione, soprattutto online, è un problema che grava sulla futura classe dirigente. Non possiamo affidare ai social il nostro domani". La onlus ieri ha lanciato una petizione su Change.org per fermare la serie tv sudcoreana (già raccolte 700 adesioni): lo spiega Ivano Zoppi, educatore, segretario generale di Fondazione Carolina e presidente della Cooperativa sociale Pepita.
Qual è il vostro obiettivo?
"Stiamo chiamando in causa Netflix, provocatoriamente. Non vogliamo certo arrivare alla censura ma alla presa di coscienza degli adulti. La questione è semplice: dove sono i genitori? Sono i grandi assenti. La serie è vietata ai minori di 14 anni eppure anche i più piccoli sanno cos’è Squid Game e lo guardano. Anche se i genitori impostano il parental control, correttamente, i contenuti sono virali su Tik Tok, Youtube, Twitch, Instagram o Facebook. Nessuno controlla cosa i minori fanno in rete? Il nostro è un forte richiamo a una presenza educativa diversa. Se fissare un limite di età non serve, allora l’unica soluzione per tutelare i piccoli è la censura? Il vero problema è il vuoto educativo".
Perché questa serie rappresenta un pericolo?
"I bambini non hanno le competenze cognitive per comprendere quei contenuti. La serie racconta alienazione e dipendenze, con la semplicità dei giochi d’infanzia. L’emulazione si tramuta in violenza quotidiana, ai danni dei più fragili. Come Fondazione Carolina ci siamo già attivati con l’AgCom e abbiamo chiesto di incontrare il Garante Infanzia e Adolescenza. Anche se i bambini vengono rimproverati, a scuola o in famiglia, non riescono a smettere perché temono che facendolo sarebbero esclusi".
Come intervenire?
"Se i bambini hanno guardato la serie, occorre parlare con loro, aiutarli a elaborare l’esperienza e a comprendere i rischi. In modo che la spirale di violenza finisca".