Stresa (Verbania), 24 maggio 2022 - I parenti delle vittime sono tornati nel luogo dove un anno fa la vita dei loro cari, usciti di casa per una tranquilla gita domenicale sul Mottarone, si è spezzata per sempre. Commozione, il dolore di una "ferita che si riapre", rabbia e la richiesta corale di ottenere giustizia, perché "chi ha sbagliato deve pagare". Una stele nei boschi sopra Stresa, nel punto esatto dove domenica 23 maggio 2021 la cabina numero 3 della funivia del Mottarone è precipitata, ricorda i nomi dei 14 morti, tra cui due bambini: Serena Cosentino, 27 anni di origini calabresi e una borsa di studio al Cnr, il fidanzato di origine iraniana Mohammed Reza Shahisavandi, 30 anni; Roberta Pistolato (festeggiava i suoi 40 anni) e il marito Angelo Vito Gasparro, che dalla Puglia si erano trasferiti al Nord per lavoro; i fidanzati varesini Silvia Malnati, 26 anni, e Alessandro Merlo, 29; Vittorio Zorloni, la moglie Elisabetta Personini e il figlio Mattia, di soli 5 anni, anche loro del Varesotto. Fra le vittime Amit Biran, 30 anni, che si era trasferito a Pavia per studiare Medicina, la moglie Tal Peleg, di 27, e il figlio Tom di 2 anni. Morti anche i bisnonni Itshak Cohen, 82 anni, e la moglie Barbara Cohen Konisky, 70 anni, arrivati in visita da Israele. L’unico sopravvissuto è l’altro figlio della coppia, Eitan, di 6 anni, poi finito al centro di una contesa familiare tra Italia e Tel Aviv.
«La mancata giustizia sarebbe un diabolico freno a mano per la speranza e un cazzotto nello stomaco", sono le parole del parroco di Stresa don Gianluca Villa, nell’omelia durante la messa celebrata nella chiesetta in cima al monte, non molto lontano dall’ultima stazione dell’impianto, quella mai raggiunta dalla funivia. Il sacerdote parla di "un cassetto di dolore che si riapre", ricorda una "domenica segnata da sangue innocente, in cui il sole è stato oscurato dal buio". Una richiesta, quella di fare piena chiarezza sulle responsabilità del disastro, rilanciata anche dal presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio e dalla sindaca di Stresa, Marcella Severino.
"Il nostro obiettivo è sempre stato quello di dare una risposta alle richieste di giustizia", sottolinea il procuratore di Verbania Olimpia Bossi, presente alla cerimonia con il pm Laura Carrera. Il primo passo, nella battaglia per la giustizia, sarà il deposito, atteso per fine giugno, delle perizie disposte dal gip per fare chiarezza sulle cause dell’incidente. Dietro la rottura della fune traente d’acciaio, che a mezzogiorno del 23 maggio 2021 ha fatto precipitare la cabina numero 3 con i passeggeri e bordo, forse carenze nei controlli periodici sull’impianto. Il tratto di fune che si è spezzato a circa 40 centimetri dalla “testa fusa“, avvolto da un “carter“ che doveva essere ingrassato ogni tre mesi inserendo lubrificante, avrebbe subito per quasi cinque anni gli effetti di una lenta corrosione interna, fino a spezzarsi.
Corrosione che potrebbe essere dovuta a una infiltrazione di acqua, oppure ai residui del cloruro di zinco usato per la realizzazione della testa fusa o a un difetto di fabbricazione. I freni, inoltre, erano stati disinnescati inserendo un “forchettone“ per evitare di fermare le corse, violando ogni norma sulla sicurezza. Con i freni regolarmente in funzione, forse l’incidente si sarebbe risolto solo con un trauma per i passeggeri. Punti al centro dell’inchiesta a carico di 14 indagati, fra cui l’imprenditore Luigi Nerini, il capo servizio Gabriele Tadini (ora in pensione), il direttore di esercizio Enrico Perocchio e la società Leitner, alla quale era stata appaltata la manutenzione. "Ritornare qui è come rigirare il coltello nella piaga", spiega la nonna di Alessandro Merlo, a bassa voce e con le lacrime agli occhi.
"È straziante perché sento che, pur essendo passato un anno, la cosa non è sedimentata", aggiunge Beatrice, nipote di Vittorio Zorloni. La famiglia di Eitan, i Biran-Nirko, ha chiesto di poter stare sola qualche minuto davanti alla stele. Qualcuno si è sentito male e qualcun altro non è riuscito a nascondere la rabbia. Come la signora Teresa, mamma di Elisabetta Personini e nonna del piccolo Mattia: "È passato un anno, ma nessuno si è fatto sentire. Ci hanno tutti abbandonato, non ci hanno fatto neanche le condoglianze. È peggio del ponte Morandi. Vogliamo conoscere la verità, e che giustizia sia fatta in fretta".