Roma, 20 aprile 2021 - Sotto stress? Potremo sempre andare dal medico di famiglia e chiedergli di prescriverci una settimana nel bosco, un po' come si faceva con le terme. C'è anche questo tra gli obiettivi del progetto ’terapia forestale’, ci stanno lavorando Cnr e Cai, il cuore dello studio è la Toscana. Arriva dagli anni 80 in Giappone la pratica dello shinrin-yoku, in altre parole il bagno nella foresta, che sta contagiando sempre più anche l’Italia, la spinta definitiva l’ha data il gran bisogno di tornare a respirare dopo oltre un anno di pandemia da Covid-19. Oggi non esistono ancora stazioni certificate anche se sono ormai diverse le esperienze in giro per il paese. All'inizio degli anni 2000, ad esempio, il Friuli Venezia Giulia ha avviato un progetto di ricerca sugli ecosistemi forestali, la Regione mette i finanziamenti, l'Università di Udine lo porta avanti. Concentrandosi sui benefici delle camminate in mezzo ai boschi per le patologie dell'apparato respiratorio. L’anno scorso Club alpino italiano e Consiglio nazionale delle ricerche hanno riassunto lo stato dell’arte della terapia forestale in un libro. Spiega Federica Zabini, dell’istituto per la bioeconomia del Cnr fiorentino: “L’obiettivo è proprio quello di arrivare a una prescrizione verde. Naturalmente si tratta sempre di medicina complementare”. Francesco Becheri, 40 anni, psicologo e psicoterapeuta, è dentro questa rete con il podere di Pian dei Termini, nel Pistoiese, avuto in gestione dal demanio nel 2019. La terapia forestale è uno dei suoi progetti. “Vogliamo arrivare a un accreditamente pubblico – chiarisce –. Perché alla base di tutto dev’esserci il rigore scientifico”. Tra i partner, c'è anche l'università. La 'terapia forestale' è stata inclusa nel master in fitoterapia generale e clinica attivato dall’ateneo di Firenze, come chiarito anche nella prefazione del libro Cai-Cnr da Fabio Firenzuoli, direttore del Cerfit (centro di riferimento in fitoterapia della Toscana). "Le foreste sono centri di aromaterapia naturale che offrono benefici consolidati sulla salute fisica e mentale - riassume il professore -. Ora che il quadro scientifico è stato chiarito, uno dei prossimi passi sarà inviare pazienti presso stazioni qualificate e osservare i risultati". Francesco Meneguzzo del Cnr-Ibe, che è anche referente scientifico nazionale del Cai, illustra il metodo utilizzato: "Dopo aver percorso a piedi centinaia di chilometri nelle foreste appenniniche e alpine, dotati di un ‘naso elettronico’, abbiamo potuto ricostruire la concentrazione nell’atmosfera forestale dei preziosi composti organici volatili emessi dalle piante, in funzione delle specie presenti, della stagione e dell’ora del giorno. Inoltre, abbiamo effettuato numerose sessioni di terapia forestale guidate da psicologi professionisti secondo un preciso protocollo, ottenendo risultati eccellenti in linea con altre esperienze condotte all’estero". Ma quali caratteristiche deve avere un bosco per rientrare in questa definizione? Si parte, spiega Becheri, “dall’accessibilità e dall’esposizione al sole”. Aggiunge Zabini: “Stiamo facendo analisi ambientali e psicologiche per verificare gli effetti sulle persone. E continueremo con questo lavoro. Siamo partiti da una serie di rifugi Cai, vogliamo arrivare a linee guida nazionali. Dobbiamo verificare il rilievo statistico, proprio come si fa con una qualsiasi terapia. Il nostro compito sarà quello di qualificare le stazioni. Ma la certificazione è un passaggio ulteriore che non dipende da noi”. Per questo tra i soggetti in campo ci sono anche il ministero della Salute e l’Iss. Perché “certo che andare nei boschi in generale fa bene. Ma qui parliamo proprio di una terapia. Spero che i tempi alla fine saranno brevi”.