
Walter Martinoni setaccia il greto del fiume alla ricerca di oro (Studiosally)
Magenta (Milano), 14 luglio 2018 - L'uomo e il fiume Ticino, proprio come il vecchio e il mare di Hemingway, sono da millenni compagni di viaggio dal lago Maggiore fino al grande Po. Eppure, oggi, proprio l’uomo sta uccidendo il fiume. A Nord, sulle sue sponde, ecco subito le prime tracce che testimoniano la millenaria presenza dell’uomo lungo queste sponde. Resti di insediamenti celtici che risalgono a quasi tremila anni: l’ultima brughiera a sud delle Alpi, estesa a macchia di leopardo da Somma Lombarda a Malpensa. Oggi questo patrimonio unico di piante e animali, tutelati dal Parco del Ticino, è stato quasi del tutto divorato dall’urbanizzazione, ma anche dai boschi di robinie e ciliegi tardivi. Eppure qua e là si osservano ancora insetti come la rarissima farfalla Coenonympha oedippus. Qui spicca anche la diga del Panperduto, baluardo di come l’uomo abbia tentato, nei secoli, di addomesticare il fiume azzurro, usando le sue acque per creare canali che hanno reso fiorente l’agricoltura lombarda. Poco oltre la prima, vera, pugnalata al cuore del fiume: il malfunzionante depuratore di Lonate Pozzolo, attivo dal 2002, scarica le acque nere in arrivo dal Varesotto. «Un disastro ambientale che ha quasi distrutto il bellissimo “ramo del Marinone”, un tempo ricco di sorgenti e di vita – dice Claudio Sprafico, di Legambiente -. È da qui che la qualità delle acque nel Ticino peggiora in maniera drastica».
Più a sud ancora ecco la seconda ferita, che si sta in parte rimarginando. All’altezza di Abbiategrasso il Canale Scolmatore riversava indisturbato nel fiume gli scarichi di tutta l’area prealpina e a Nord di Milano. Da qualche tempo, però, diversi interventi strutturali hanno ridotto la mole di inquinamento, che resta comunque presente. In mezzo a questi due canali la riserva della Fagiana di Magenta pare una cittadella che resiste al nemico. Un bosco di 500 ettari che è il cuore dei diversi progetti studiati dal Parco del Ticino per salvaguardare animali quali Capriolo, Pigo, Trota Marmorata e Storione. Nonostante questa battaglia i pescatori lungo tutto il corso del Ticino sono sempre meno rispetto a quanto accadeva qualche decennio fa: «Oggi il pesce nell’asta principale è sparito, restano solo carpe e siluri. Mentre qualcosa si nasconde ancora nei rami laterali – racconta il pescatore Enrico Restelli -. E pensare che fino alla metà degli anni ’90 il Ticino era il fiume più pescoso del Nord Italia. Ricordo savette, cavedani, lasche, vaironi e persici in quantità. Per non parlare delle trote, il fiore all’occhiello».
Secondo Restelli la causa principale è la presenza incontrollata dei cormorani, che divorano i pesci più piccoli: «Un problema mai davvero affrontato». Verso Vigevano si nota qualcosa nel fiume. L’aspetto cambia, l’alveo si ramifica originando ghiaioni e spiagge; boschi, radure e paludi si mescolano in un mosaico di habitat. Qui tra le rive ciottolose, si può perfino trovare dell’oro, che alcuni appassionati cercano nel letto del fiume. Il Ticino scende e incontra Bereguardo con il suo ponte di barche, monumento a tempi lontani. Fino a Pavia, dove il tuffo nel Po conclude un viaggio cominciato 250 chilometri prima.