"Nel corso degli anni il livello de vino lombardo è cresciuto molto, i produttori hanno lavorato tanto e bene. Ora si tratta di comunicare nel migliore dei modi questi risultati, far conoscere a tutta Italia e all’estero il valore dei nostri vini". Parola di Stefanio Berzi, che da bergamasco gioca in casa, ma che dall’alto del titolo di miglior sommelier d’Italia Ais conquistato lo scorso novembre, parla con cognizione di causa. Alla vigilia del Vinitaly 2022 (Verona, 10-13 aprile), il principale appuntamento di settore a livello nazionale, tracciamo insieme a lui una panoramica del mondo vinicolo regionale.
Berzi, innanzitutto chiariamo un punto fondamentale: ha senso parlare di vino lombardo, data la vastità e la varietà del territorio? "Diciamo che è riduttivo, viste le numerose denominazioni con zone e anche volumi di produzione molto differenti. Ma da un punto di vista di comunicazione e riconoscibilità il brand Lombardia ha un senso, che tutti i Consorzi devono contribuire a valorizzare, da quelli più strutturati come Franciacorta e Oltrepò Pavese a piccole chicche come il Moscato di Scanzo, uno dei pochissimi passiti a bacca rossa".
Quali i punti di forza della Lombardia, in un panorama molto concorrenziale come quello italiano? "Alcune regioni sono sicuramente più evocative in fatto di vino, ma allo stesso tempo nell’immaginario collettivo restano ancorate a tradizioni per cui, ad esempio, la Toscana è prevalentemente rossista mentre l’Alto Adige prevalentemente bianchista. La Lombardia invece offre tutto. Le bollicine di alta qualità della Franciacorta, gli spumanti a base Pinot Nero dell’Oltrepò, i grandi rossi fermi della Valtellina, un bianco di riferimento come è ormai il Lugana; senza dimenticare i tagli internazionali, come quelli della Valcalepio, e che nel Mantovano si produce Lambrusco".
Cosa manca alla Lombardia per colmare il gap con le regioni-guida dell’enologia italiana? "Acquisire maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Un discorso che vale in particolare per l’Oltrepò Pavese, dove ci sono potenzialità che, se ben veicolate, possono farlo diventare un riferimento a livello nazionale. In generale, anche la Lombardia ha storia, cultura e valori da raccontare, oltra a una tradizione culinaria che è sempre un ottimo veicolo di promozione per i vini del territorio".
Una zona da tenere d’occhio nei prossimi anni? "La Valtellina, l’unico vero polo del Nebbiolo al di fuori del Piemonte. Da anni si producono rossi di grande valore, anche se forse ancora poco conosciuto fuori dal territorio, e ultimamente una nuova generazione di produttori sta lavorando molto bene sullo stile, andando a cercare un vino meno muscolare ma più elegante, riducendo i passaggi in legno e il grado alcolico a favore di una maggiore freschezza e facilità di beva. Andando così incontro ai nuovi gusti del mercato che richiedono uno stile più essenziale. Tra l’altro parliamo di una denominazione con cinque sottozone (Sassella, Grumello, Inferno, Maroggia e Valgella, ndr), una chiave di comunicazione importante se pensiamo alle Menzioni geografiche aggiuntive (Mga) del Piemonte o alle Unità geografiche aggiuntive (Uga) del Chianti Classico".
Quali sono le prospettive di mercato per il vino lombardo? "Qui esuliamo un po’ dalle mie competenze specifiche, bisognerebbe anche entrare nelle specificità e nelle strategie dei singoli Consorzi. Posso dire che, vista anche la situazione internazionale, sarà importante avere una posizione solida sul mercato locale e nazionale, senza tuttavia trascurare l’estero. I Paesi tradizionalmente amanti del nostro vino e anche i mercati emergenti".