
Lo Zoo di 105 (Foto Facebook)
Milano - È il programma radiofonico di gran lunga più seguito col suo milione di fan che ogni giorno si sintonizzano dalle 14 alle 16 su Radio 105. Ed è certamente la trasmissione più irriverente d’Italia, sin dalla prima puntata diffusa nel 1999 dagli studi di Largo Donegani, in centro a Milano. Ora si scopre, però, che il linguaggio abitualmente utilizzato da Marco Mazzoli e dal resto del team dello "Zoo di 105" è finito sotto la lente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha analizzato in particolare le puntate del 26 ottobre e dell’11 dicembre dello scorso anno. Risultato: la commissaria relatrice Elena Giomi ha riscontrato violazioni "di elevata entità" alle regole imposte al Testo unico della radiotelevisione, elencando ben 247 parolacce in quattro ore on air. Un vero e proprio record, anche se gli aficionados non saranno sorpresi dal numero elevatissimo di c..., m..., t... e via bippando , che è poi la cifra distintiva dello "Zoo".
Conclusione: la società Radio Studio 105 spa dovrà pagare una sanzione di 125mila euro per quelle frasi che, a giudizio dell’Authority, risultano "nel complesso concretamente idonee a nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori e a turbare, pregiudicare, danneggiare i delicati complessi processi di apprendimento dell’esperienza e di discernimento tra valori diversi o opposti, nei quali si sostanziano lo svolgimento e la formazione delle loro personalità".
Nella linea difensiva, i rappresentanti di 105 hanno spiegato che la trasmissione "costituisce un esempio non isolato di comicità grossolana imperniata sull’uso iperbolico di espressioni grezze, capaci di suscitare il riso sulla base di un meccanismo comico elementare". Un meccanismo che "affonda le sue radici nell’antichità", hanno argomentato citando generi prototeatrali come fescennini e atellane risalenti rispettivamente a Etruschi e Osci, e che "giunge senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri" con la musica rap, trap e hip hop. Insomma, questo tipo di forma comunicativa si fonderebbe sul "depotenziamento del linguaggio, che – destituito della sua carica significante (e quindi anche del suo potenziale offensivo) per effetto del palese difetto di intenzione di trasmettere un qualche messaggio (offensivo) – si trasforma in una sorta di mero elemento sonoro, che fa ridere proprio per la sua destituzione di senso". Una linea respinta dall’Agcom: "L’accettazione di tale tesi, assolutamente soggettiva, giustificherebbe in ogni caso la diffusione di parolacce, turpiloquio, offese alla dignità della persona, messaggi di intolleranza e lessico omofobico".