DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Accabadora nel segno della Murgia: "Quel dialogo muto fra madre e figlia"

Anna Della Rosa al Menotti con il monologo tratto dal libro della scrittrice sarda: "Profondo e commovente"

Anna Della Rosa, in “Accabadora“, dal romanzo di Michela Murgia

Anna Della Rosa, in “Accabadora“, dal romanzo di Michela Murgia

Peter Stein, Pascal Rambert, Martin Kusej. Con Toni Servillo ha girato il mondo per la “Trilogia della Villaggiatura“. Sorrentino le ha invece regalato uno dei ruoli più insopportabili (e iconici) de “La grande bellezza“. Insomma: abbastanza impressionante il percorso di Anna Della Rosa, milanese e paolograssina, da martedì al Menotti di nuovo protagonista di “Accabadora“, drammaturgia di Carlotta Corradi dal romanzo di Michela Murgia, per la regia di Veronica Cruciani. Un monologo. Con Maria al capezzale di Bonaria, madre adottiva. Donna capace di riempirla di rispetto e di amore. Prima di sconvogerla col suo segreto feroce. Di morte.

Anna, è la terza volta che passate da Milano: un successo. "Merito del libro, da cui Corradi ha saputo trarre una drammaturgia propria, per quanto aderente. Tanto che Michela Murgia disse con grande generosità che non si trattava di una riduzione ma di un ampliamento".

In che anno avete debuttato? "Ogni volta che inizio un nuovo lavoro, segno il mio nome e la data nella prima pagine del copione. Quindi sono sicura: abbiamo cominciato le prove il 3 settembre 2018, per poi andare in scena l’anno dopo. Ne è passato di tempo. Infatti il copione è consumato, pieno di ricordi".

In che senso? "Piano piano inserisco bigliettini, foto, commenti. Non sono una donna ordinata ma ogni copione diventa invece un frammento di memoria".

Come si faceva una volta con la Smemoranda? "Sì, esatto! Uno scrigno di ricordi".

Cosa troviamo dunque in questo "ampliamento"? "La profondità, la commozione, le meravigliose descrizioni del paese sardo e dei suoi abitanti, lo spirito indomito di queste donne, il dialogo muto che Maria ha con la madre, sul letto di morte. Prima che la stessa Bonaria prenda la parola nelle ultime tre meravigliose pagine. Si assiste così a una sorta di trasformazione del mio personaggio: da figlia a madre. C’è poi la regia di Cruciani, semplice ma raffinata".

Parlano poi piuttosto bene della protagonista. "Ma sì, sono arrivati anche diversi premi: il Duse, il Flaiano, quello dell’Associazione Nazionale dei Critici. Un grande onore".

Lei è stata subito richiestissima, appena uscita dalla Paolo Grassi. "All’inizio dell’ultimo anno fu appeso in bacheca l’avviso che Peter Stein faceva dei provini per il coro della sua Pentesilea. Superata la prima selezione, mi ritrovai a lavorare una settimana ad Atene. Fu stupendo ma sembrava di essere al militare, si provava tutto il giorno con tre coreografi. Andò bene e debuttai a giugno, da neodiplomata".

Quali gli incontri più importanti? "Rambert, Malosti, Kusej. Ma Toni Servillo ha segnato un prima e un dopo, mi ha fatto nascere come attrice dandomi il ruolo della protagonista a 29 anni nel suo Goldoni. E da allora Giacinta è uno dei ruoli a cui sono più legata, insieme ai grandi personaggi testoriani. Li riprenderò presto, per portarli a maggio al Piccolo: Cleopatràs, Erodiàs e Mater Strangosciàs".

Il cinema? "Oggi ho un buon equilibrio fra i vari lavori. Ma sarei felice di una bella proposta per un film. Non è facile trovare al cinema la densità del teatro. Quella sensazione di camminare nel mare, circondata dall’acqua. Anche se con Sorrentino per "La grande bellezza" mi sono davvero divertita".

Interpretava l’amica di Carlo Verdone: ruolo bellissimo ma, mi perdoni, di rara “stronzaggine“. "Pensa che ancora adesso mi fermano per dirmi che anche loro hanno incontrato una donna così, che li ha fatti ammattire. Una che ti dice: "non voglio gente per casa quando faccio la valigia…".