D.V.
Cultura e Spettacoli

Al Piccolo debutta Storia di un cinghiale

Un manipolatore. Un feroce stratega. Cresciuto a pane, rabbia e ambizione. Personaggio scomodo Riccardo III: il suo agire si muove...

Francesco Montanari nella produzione del Piccolo Teatro, testo e regia dell’uruguayano Gabriel Calderón

Francesco Montanari nella produzione del Piccolo Teatro, testo e regia dell’uruguayano Gabriel Calderón

Un manipolatore. Un feroce stratega. Cresciuto a pane, rabbia e ambizione. Personaggio scomodo Riccardo III: il suo agire si muove in territori senza morale, il potere è l’unica risposta che trova a quella natura che l’ha voluto deforme. "Ho deciso di fare il delinquente e odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età", afferma. Come ad esorcizzare un baratro esistenziale da riempire di sangue e di morti. Uno dei ruoli più complessi. Ma chiunque faccia teatro spera di incrociarlo prima o poi nella vita. E questa volta tocca a Francesco Montanari, che per tutti sarà sempre il Libanese nella serie tv di Romanzo Criminale, nonostante il solido percorso teatrale. Lui il protagonista di "Storia di un cinghiale. Qualcosa su Riccardo III", nuova produzione del Piccolo Teatro (con Carnezzeria), testo e regia dell’uruguayano Gabriel Calderón, da domani al 6 aprile allo Studio. Tenitura quindi piuttosto lunga. Per un monologo che è già stato un successo internazionale.

E che qui arriva in versione italiana. Incrociando le parole shakespeariane con le vicende di un attore che finalmente può interpretare il primo grande ruolo della sua carriera. Soddisfazione. Solo che a poco a poco, si accorge di un’inquietante affinità tra la sua vita e quella del personaggio: ambizione, rabbia repressa, sete di riscatto, opportunismo. Non è che dentro di noi si nascondono gli stessi lati oscuri del sovrano di York? Domanda retorica. Anche se a vari gradi di oscurità, per così dire. "Del teatro cerchiamo di mostrare gli aspetti migliori – spiega Calderón – ma dietro c’è spesso una complessità ben diversa. Riccardo III è una meraviglia nel mettere in luce questa dinamica. Non racconta infatti l’ascesa di un grande re ma tutto quello che c’è di orribile per arrivarci. In questo mi è parso molto affine al palcoscenico, uno di quei luoghi pieni di "Riccardi", di artisti che vogliono disperatamente qualcosa a cui non possono aspirare.