Un romanzo a episodi. Tondelli amava definirlo così. Ed effettivamente c’è come una cornice che accoglie i sei racconti di “Altri libertini“, esordio letterario potentissimo, che fu perfino sequestrato per oscenità e oltraggio della pubblica morale. Che i benpensanti sono sempre lì in agguato. Libro cult. Ma molto di più. A partire da una ricerca sul linguaggio che pulsa ancora viva nella sua natura ibrida e concretissima. Una polaroid scattata nel 1980. Che riemerge con straripante contemporaneità nel progetto di Licia Lanera, già premio Ubu alla migliore regia per il precedente “Con la carabina“. Non allineata la regista barese. Da sempre. Ma in dialogo con le istituzioni e i maestri, se si pensa che anche Ronconi la volle nella Celestina, una vita fa. E proprio al Piccolo torna da mercoledì sul palco dello Studio. Con la regista anche in scena insieme a Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Roberto Magnani.
"È uno spettacolo che mette in scena Altri libertini ma fugge continuamente dalla rappresentazione – spiega Lanera –, gli attori si appropriano di quelle parole e alla fine Pier Vittorio Tondelli non esiste più se non nei corpi, nella carne, negli sputi degli attori, nelle loro biografie. Io sono lì in borghese a combattere questa personale guerra alla rappresentazione. Sono lì a confondere, a ricordare continuamente allo spettatore che siamo in un teatro a rievocare i morti attraverso il corpo dei vivi. A raccontare le miserie di una generazione che si perpetua sempre uguale da almeno quarant’anni". Considerazione di stampo quasi sociologico. Ma parecchio lucida nel constatare come lo sguardo di Tondelli riesca a parlare attraverso il tempo, nonostante una matrice clamorosamente generazionale. In un trionfo di noia e di fughe e di droghe e di sesso e di irrequietezze esistenziali. Mentre ci si interroga su come svoltare l’ennesima nottata, senza lasciarsi divorare da quegli orizzonti così conosciuti. Qui in un adattamento che per la prima volta porta in scena il libro dopo la morte dell’autore. E lo fa concentrandosi su tre racconti: Viaggio, Autobahn, Altri libertini. Il primo è la notte inquieta di un 19enne in giro per l’Emilia; il secondo una fuga a quadri verso l’agognato nord, da Carpi ad Amsterdam. L’ultimo è un capolavoro che racconta il Natale in provincia con i suoi riti, i salotti e la televisione, il passeggio, l’odio e l’amore per le stesse, identiche, stramaledette cose. Mentre ci si fa togliere il fiato da quella noia che un decennio dopo diverrà chiave di lettura esistenziale del mondo e della vita. Che alla fine siamo tutti figlioli del Tondelli. Anche se probabilmente avrebbe riso tantissimo alla sola idea.
Diego Vincenti