
Marco Anastasio, 27 anni
Milano, 11 aprile 2025 – Anastasio è un rapper visionario dai sogni complicati in cui il nuovo album prova a mettere un po’ d’ordine. Perché una cosa è la complessità e un’altra la confusione. E negli album precedenti “Atto zero” e “Mielemedicina” Marco Anastasio, 27 anni, da Meta, Napoli, non sempre era riuscito a tenerle distinte. Il nuovo “Le macchine non possono pregare”, che il musicista presenta domani negli spazi di Nxt Bergamo, una sua organicità invece ce l’ha: lui stesso la definisce “un’opera rap”, anche se quegli “scienziati” maledetti, come li chiama, abituati a sezionare e valutare la sua arte potrebbero definirlo più prosaicamente un concept album. “Lo intendo come sviluppo di una storia in capitoli, un universo molto pieno, ricco di immagini e spunti, che vorrei si ramificasse il più possibile perché credo abbia molto da raccontare – dice lui –. Il progetto ha prodotto finora un disco, una graphic novel, e chissà cos’altro riuscirà a generare nel tempo”.
Idee?
“Potrebbero arrivare uno spin-off, una rappresentazione teatrale, perché è una storia con grandi potenzialità”.
Da dov’è partito il racconto?
“Dal primo pezzo che ho scritto, “La mosca“. Ne mandai un abbozzo a un mio amico poeta, Davide Rota, che mi rispose con una prima idea di possibili sviluppi. Lui stava già ragionando sui cyber ciclopi, figure allegoriche metà demoni e metà intelligenze artificiali, su Charles Baudelaire e i moti del 1848. Da lì ci siamo mossi. Ora il disco è realtà e in estate lo presenterò in tour con l’intenzione di continuare in autunno nei club”.
I pensieri sono ancora aggrovigliati?
“Il bello del groviglio è che, quando poi lo risolvi, scopri che tutto è al proprio posto. Quest’album è sicuramente un po’ aggrovigliato, ma al tempo stesso estremamente coerente ed equilibrato. Quasi simmetrico. Al primo ascolto perdi qualcosa, ma forse il bello sta proprio qui. Penso sia un album che fa pensare, che si svela ascolto dopo ascolto, non propriamente facile, ma al mondo non c’è niente di facile. Anzi, per me “facile“ è un insulto”.
Meglio guardare lontano.
“Il bello della fantascienza, anche se “Le macchine non possono pregare“ non rientra propriamente nei parametri, è di poter parlare dell’oggi attraverso una proiezione in avanti, un presente amplificato che, dilatandosi nel tempo, consente di vederne meglio perfino i paradossi. Il valore reale di questo disco si capirà, probabilmente, quando l’ascolteranno i ragazzi dei licei”.
Frattanto lei è tornato a vivere a Meta.
“Dopo un bel po’ di permanenza a Milano ho deciso di rientrare a casa, perché la grande città m’aveva dato ormai tutto quel che cercavo. L’aspirazione di chi viene a Milano è un po’ la stessa di quelli che, una volta, partivano per New York con la valigia di cartone: provare a raggiungere un sogno, stare dove accadono le cose. Col tempo, però, mi sono reso conto che la cosa m’interessava relativamente e ci ho ripensato. Anche perché tanto, oggi, la musica si può fare dappertutto”.
Tra il disco precedente e questo ha trovato pure il tempo di laurearsi in Agraria.
“Amando la natura e sentendo molto il tema dell’ambiente ho scelto questo indirizzo in quinta liceo, già convinto che, di quel passo, avremmo avuto una importante crisi climatica con grosse sfide da raccogliere per riuscire a sfamare una popolazione in continua crescita. Poi la musica m’ha portato altrove, ma alla fine i cinque-sei esami che mancavano ancora nel libretto li ho dati”.