ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Trezzo sull'Adda, il rap (d’autore) di Anastasio al Live Club

Il talento per la scrittura, la vittoria a X Factor. Ed ora il concerto

Anastasio (Ansa)

Milano, 22 marzo 2019 - Il set di due sere fa al Live Club di Trezzo ha dato l’ida di che pasta è fatto pure lontano dalle telecamere di X Factor, ed ora per Anastasio (al secolo Marco Anastasio) è tempo di concerti. E di sold-out. Quello di questa sera al Santeria Social Club è, infatti, esaurito come la replica del 26 marzo. Stesso discorso per l’altra tappa lombarda del 5 aprile alla Latteria Molloy di Brescia. I ritardatari, per ascoltarlo, dovranno aspettare l’estate. Intanto “Correre”, col suo tormentone “per essere quello che vuoi devi scordarti di quello che sei” è diventato un cortometraggio con Massimo Olcese.

Marco, cosa ha messo in questo spettacolo?

«Sul palco porto diversi momenti della mia vita, compresi alcuni del tempo in cui mi chiamavo Nafta. Ma ci sarà pure qualche cover riscritta da me fatta ad X-Factor come “Clint Eastwood” dei Gorillaz».

“Come Maurizio Sarri” è in repertorio?

«Non so se la farò tutte le sere. In Campania certamente sì, perché è stata quella la scintilla che ha dato origine a tutto».

Il singolo “Correre”, l’ha presentato (da ospite) all’ultimo Sanremo.

«Sono stato contattato dagli autori perché c’era l’idea di completare il monologo di Bisio dalla parte del genitore con un giovane che parlasse. E siccome ad X Factor ho mostrato di avere una certa empatia con chi mi ascolta, hanno chiamato me».

Impressioni?

«È stata una cosa bella, perché con Bisio ho trovato subito un’intesa. Un po’ di agitazione l’ho avuta, ma è quella che provo ogni volta che vado in scena».

Sempre la stessa?

«No. Ad “X Factor”, come a Sanremo, hai una sola possibilità e non la puoi sbagliare. Perché sei davanti a milioni di occhi. In concerto, invece, hai una scaletta di 17-18 pezzi e devi creare un flusso che duri tutto lo spettacolo; se, il cielo non voglia, ti scordi qualche parola, non cade il mondo».

Il testo dice “tuo figlio idolatra un idiota che parla di droga e di vita di strada”, sembra un dito puntato su parte della sua categoria.

«Non è riferita a nessuno in particolare. In realtà non si riferisce tanto a quanti parlano di certe tematiche nei loro pezzi, quanto a quei genitori convinti che il problema del figlio stia nel fatto di ascoltare i rapper. Mentre il problema vero è l’assenza di punti di riferimento».

Il rap italiano è un circolo abbastanza chiuso.

«C’è tutta una serie di cose che, se vuoi stare nel rap-game, non devi dire, ma a me non interessa stare nei club. C’è da dire, però, che il ghettizzarsi fa un po’ parte della filosofia hip-hop».

Cosa le piace nel rap di ora?

«Mi piacciono Rancore e Dutch Nazari, ma pure Ernia o Mattak».

Quanto il web condiziona l’attività di un rapper come lei con una popolarità acquisita in televisione da gestire?

«Molto, troppo. Anche se io cerco di resistere alla pressione perché la vera sconfitta di uno che fa rap è cambiare per accontentare qualcuno. Per come l’ho vissuto io finora, il web è una macchina infernale, capace di rovesciarti addosso valanghe d’odio».

Come se ne esce?

«Riesci a superare lo choc solo quando ti rendi conto che è tutto finto. Virtuale. Non nego di esserci stato male all’inizio, ma poi ho capito che quello non è un rapporto umano. E a me, invece, interessano solo quelli».

Cosa c’è oltre al tour?

«Un album da finire, che spero di far uscire in autunno».