GRAZIA LISSI
Cultura e Spettacoli

Salieri aveva tutto. Gli mancava solo il genio di Mozart

Antonio Salieri ha tutto, soldi e fama. E crede in se stesso finché non ascolta brani composti da Mozart, talento assoluto della musica universale

Luca Barbareschi nei panni di Salieri nello spettacolo reso famoso dal film di Milos Forman, da stasera all’Auditorium

Milano, 27 ottobre 2016 - Antonio Salieri ha tutto, soldi e fama. E crede in se stesso finché non ascolta brani composti da Mozart, talento assoluto della musica universale. In scena all’Auditorium oggi, domani e domenica “Amadeus – il Concerto” di Peter Schaffer, testo teatrale reso famoso dal film di Milos Forman, musica di Mozart. Versione in forma di concerto di John Axelrod che lo dirige, Salieri è interpretato da Luca Barbareschi.

Ci vuole coraggio a portare in scena una commedia vincitrice di Oscar? «L’ho recitato dieci anni fa in un allestimento di Polanski, i costumi erano di Milena Canonero, due premi Oscar. Il coraggio ci vuole sempre, ogni volta che vado in scena è un salto nel vuoto. Il testo è bellissimo, lo conosco bene e poi ho a disposizione il repertorio mozartiano e le parole di un grande drammaturgo. Mi è sempre piaciuto lavorare su pièce di autori anglosassoni e americani, li sento affini».

È in scena con la Verdi. «Una splendida orchestra. Uno degli strumenti del concerto è la voce recitante, devo dare suono all’emozione. Il testo è una metafora sul talento, ci ricorda che può tradire, come accade a Salieri, il vero protagonista in cui ci identifichiamo. Siamo dei mediocri e non possiamo immedesimarci nel genio, tutti siamo consapevoli di dover faticare per arrivare alla meta».

Amadeus è una storia di creatività e invidia. Ha mai invidiato qualcuno? «I geni, ovviamente. Ho un’invidia sana, non sono un bilioso che soffre per il successo degli altri. Quando incontro il talento nelle varie discipline mi riempio di meraviglia e gioia. Ho tanti interessi, mi piace esplorare e vorrei, prima di morire, poter dipingere, dirigere un concerto, fare foto straordinarie. L’aver prodotto fiction ha appagato il mio spirito, ho potuto immergermi in storie di talento. Allora posso dire di invidiare Mennea, Walter Chiari e Olivetti».

Ascolta musica classica? «Mia madre è un’appassionata melomane, ascoltavamo l’opera e la musica sinfonica. Una mia compagna faceva la ballerina, insieme abbiamo scoperto il Novecento, dalla dodecafonia di Schönberg, Weber a Berio. Musica definita oggi “colta”, termine che non amo perché anche Gillespie, Ellington, Evans lo sono. I compositori europei, partendo da una tradizione, si sono presi la libertà di scrittura, i maestri del jazz non avevano confronti, ma sono nati in un Paese meritocratico che ha decretato il loro successo. Ascolto anche la musica della mia generazione, dai Beatles in poi».

C’è una colonna sonora nella sua vita? «Parto da un brano per avere l’ispirazione di uno spettacolo. Se sono malinconico scelgo le Sinfonie di Mahler, Debussy e Ravel, anche se sono più complicate. Nei momenti trionfali Beethoven. Fra le opere “Don Giovanni” di Mozart e “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. Erano artisti coraggiosi».

E Salieri? «Un grandissimo, era il Quincy Jones della sua epoca. L’imperatore Giuseppe II lo nominò kammerkomponits e direttore musicale dell’opera italiana a Vienna. Frequentava la corte, era colto, preparato e di enormi capacità compositive, ha lasciato opere che ancora si studiano. È stato il maestro di giovani compositori di nome Beethoven, Schubert e Liszt. Per strane ragioni astrali ci sono personaggi che rimangono nella memoria di chi gli è succeduto, come la carta del cioccolatini che luccica ma poi scartata non la ricordi più».

È contento di tornare a Milano? «È la mia città, l’ho abbandonata per studiare, ci sono tornato e poi sono ripartito. Qui ritrovo i miei veri amici, quelli su cui so di poter contare. A Roma pensi di avere trovato degli amici invece sono solo persone con cui esci a cena dopo lo spettacolo».