DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

"Basta poco a diventare fascisti". E Cornacchione scritturò Bersani

Il comico debutta da drammaturgo al Leonardo. E l’ex segretario del Pd (in video) interpreta suo padre

Il comico debutta da drammaturgo al Leonardo. E l’ex segretario del Pd (in video) interpreta suo padre

Il comico debutta da drammaturgo al Leonardo. E l’ex segretario del Pd (in video) interpreta suo padre

Rubare una mela per necessità? Dilemma antico, dalla facile risposta. Ma diventare fascista per tenersi la casa popolare? Decisamente troppo. Eppure il povero Palmiro (nomen omen) si fa tentare, di fronte a quello sfratto che lo getta nel panico. Il resto meglio scoprirlo dal 3 al 13 aprile al Teatro Leonardo con “Basta poco“, diretta da Marco Rampoldi. Una commedia. Scritta e interpretata da Antonio Cornacchione. Con lui Pino Quartullo e Alessandra Faiella. Mentre in video Giovanni Storti e Pier Luigi Bersani, quest’ultimo nei panni del babbo. Comunista così, ovviamente.

Cornacchione, non la si conosceva come drammaturgo.

"Non mi conoscevo neanch’io! Debutto a 65 anni, risultato notevole. Me lo dico da solo visto che non me lo dice nessuno".

Basta così poco per lasciarsi i propri valori alle spalle?

"Diciamo che è sufficiente per il mio protagonista, un don Abbondio tirato da tutte le parti. Per un attimo ha qualche dubbio, poi per fortuna torna alle sue certezze. C’è persino un riscatto finale".

Bersani nei panni di suo padre è geniale.

"La cosa incredibile è che abbia accettato. Lui è un patrimonio universale della politica, uno da cui compreresti davvero un’auto usata. Tra l’altro mi ha detto che da giovane ha fatto teatro e infatti è stato bravissimo".

Lei non si è mai lasciato la fede politica alle spalle.

"I compromessi ci sono per tutti. Però ho provato sempre a non mettere in discussione certi punti fermi. C’è da dire che non mi sono nemmeno arrivate chissà quali offerte sconce a livello lavorativo. Che so, un’Isola dei Famosi che magari accetti solo perché ti riempiono di soldi. Quindi è facile rifutare qualcosa che in realtà non ti è mai stato offerto…"

Fedele alla linea e fedele a Milano.

"Mi ci sono trasferito tre mesi dopo Piazza Fontana. E non me ne sono più andato. Nemmeno dal quartiere: Stadera - Gratosoglio. Tante storie provengono da queste strade, vita vissuta".

Che periodo è questo?

"Debuttare con una nuova commedia è una grande sensazione. Ma il teatro in generale mi fa stare bene. Pensa che lavoravo in Olivetti e la sera andavo a scuola all’Arsenale. Era l’Olivetti di De Benedetti, un posto magnifico. Eppure io lo consideravo il mio piano B. Perché in testa l’obiettivo era sempre e solo il teatro. E infatti, dopo otto anni, appena smisi in azienda, mi ritrovai sul palco di Zelig e da lì nel cast di “Su la testa!“. Una fortuna e un trauma: successe tutto nel giro di pochi mesi. Ero io il personaggio spaesato della tv, in quel periodo sembravo uno scappato di casa".

Quasi vent’anni fa fu protagonista del “Cecile“ di De Capitani.

"Bello, bellissimo. Ma forse non dovevo farlo in quel momento. Ero il produttore e ci rimisi tanti soldi, credo di aver bruciato un appartamentino. Meglio non pensarci. Però dicono che il teatro ti ridà indietro tutto. Speriamo inizi presto la restituzione".

Rimpianti?

"No. A livello artistico ho dato secondo le mie possibilità, facendo poche trasmissioni ma speciali: Fazio, Sanremo con Pippo Baudo, Zelig nei suoi anni d’oro, Su la testa! Anche il Rockpolitik di Celentano dove ho conosciuto Benigni. Pensavo che non sapesse nemmeno chi fossi, invece fu lui a venire a salutarmi, un signore. Però ti dico, un rimpiato ce l’ho".

Cosa ha rifiutato?

"La pubblicità. Mi voleva Mediaset ma ero giovane e idealista".

Magari con lo spot di una merendina si riprendeva l’appartamentino.

"Ecco, appunto".

È cambiata la comicità?

"Tolto Crozza, c’è meno satira. Considerando la quantità di canali, ne vedo davvero poca in giro, anche se chi la fa è molto bravo".