ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Benvegnù e il nuovo album solista: “È inutile parlare d’amore”

L’ex ideologo degli Scisma, complici Brunori Sas e Neri Marcorè e le distorsioni dell’amore: "È come stare in fila a Ferragosto"

Paolo Benvegnù, ex ideologo degli Scisma

Paolo Benvegnù, ex ideologo degli Scisma

Milano, 12 gennaio 2024 – Lui lo definisce un romanzo di formazione, anzi "la sceneggiatura di un film che nessuno girerà, di cui nessuno sentiva il bisogno". Lui è Paolo Benvegnù e il capolavoro voluttuario s’intitola “È inutile parlare d’amore”, nono album solista in uscita oggi che l’ex ideologo degli Scisma presenta dal vivo il 9 febbraio alla Latteria Molloy di Brescia. "In un mondo intriso di pragmatismo e di volontà di posizione, ogni atto di costruzione gratuito è un atto inutile" riflette il musicista milanese, 58 anni, che nella realizzazione del prezioso manufatto ha trovato pure la complicità di Brunori Sas (“L’oceano”) e Neri Marcorè (“27/12”). "Se tra innamorati ci si parlasse in maniera pragmatica, una volta confidato all’altro ‘ti amo’ cos’altro resterebbe da dire? E invece no, l’amore è altamente democratico, chiunque può praticarlo in tutte le sue possibilità e con tutte le sue distorsioni. Un po’ come la fila in autostrada a Pasquetta e a Ferragosto".

Definisce l’amore un gesto rivoluzionario. Perché?

"Nel momento in cui ognuno di noi sta dentro ad una fetta di mercato e segue precisi canoni comportamentali, soltanto l’amore può slacciarci da questo tipo di realtà. Una realtà sempre più Individualista guidata dal senso della posizione che abbiamo nel mondo grazie ai social media. Ecco perché, a mio avviso, bisognerebbe avere meno a che fare con gli schermi e più col nostro sentire, staccandoci dall’io per perderci nel noi".

In “Tecnica e simbolica” parla del vendere il talento per sentirsi importanti.

"Nel momento in cui gli esseri umani non sviluppano un desiderio in quanto tale, ma solo per averne un ritorno, è già svanita l’intenzione. Sono convinto, infatti, che chi si muove nel campo della creazione dovrebbe farlo per dare segnali agli altri. C’è da dire che in questo le trasmissioni televisive abbiano dato una mano a far diventare l’espressione, intrattenimento. Certo, mi scoccia un po’ quando coloro che vengono dall’intrattenimento si permettono di pontificare sulla cultura, ma è un problema mio. Sono un uomo del Novecento e ho un po’ addosso la stizza cosmica del secolo passato".

I palcoscenici sono tutti uguali?

"Non è che le cose che accadono non lascino un segno. Quando ti trovi a suonare a Sanremo sul palco dell’Ariston, ad esempio, lo senti il peso della storia che c’è passata. Non credo ai fantasmi, ma credo che non siamo solo quello che vediamo; siamo pure quel che sentiamo. Quando ti esibisci all’Hiroshima Mon Amour di Torino o alla stessa Latteria Molloy avverti la presenza di quelli che ti hanno preceduto e della gente che, lì davanti, hanno fatto felice. Lo spirito che ci anima sul palco è un po’ quello del jazz, ogni volta le suggestioni cambiano perché ogni istante è diverso dall’altro".