Memento audere semper. E a Biagio Antonacci la voglia di osare non manca di sicuro nell’affrontare per dieci notti il pubblico del Vittoriale degli Italiani con lo spirito del Vate nell’aria e la luna del Garda sulle spalle. “Clausura, fin che s’apra - Silentium, fin che parli” c’è scritto nell’eremo dannunziano sul battente della porta del pronao. E l’uomo di “Iris (tra le tue poesie)” dice che l’idea di bussare gliel’ha suggerita fin da bambino l’immagine leggiadra del lanciere, del bersagliere, dell’ardito, dell’aviatore, del Principe di Montenevoso. Uno per cui il cielo è sempre stato aeronautico come i sogni che ci stanno dentro.
Biagio, tre anni fa aveva messo in agenda 20 concerti al Teatro Carcano di Milano, poi però ci ha pensato la pandemia a rimischiare le carte. Ora ci sono queste 10 notti all’Anfiteatro del Vittoriale che la vedono in scena dal 17 al 29 settembre.
“Per gli alunni delle scuole lombarde quella al Vittoriale è una gita obbligata e la mia non ha fatto eccezione, mettendomi per la prima volta a tu per tu col mito di D’Annunzio, uomo dalle tante facce, dalle tante teste, dalle tante anime. Un’esistenza, la sua, dedicata all’arte, alle lettere, alla musica, alla bellezza. Egocentrico come tutti i grandi, concepì a Gardone Riviera un luogo ‘a misura di ospite’ per sprofondarlo, nei suoni, nei sogni e nelle passioni della sua vita”.
D’altronde era proprio lui a dire “la modestia è il solo difetto che mi onoro di non avere”.
“Credo che gli uomini più ispirati siano sempre stati degli incredibili egoriferiti: egoisti e narcisisti quanto basta a fare della propria vita un capolavoro. Fin da quella primissima visita rimasi molto incuriosito da questo aspetto dell’epopea dannunziana e quando, due o tre anni fa, sono tornato in visita al Vittoriale ho pensato che sarebbe stato bello riprendere l’idea dei concerti residenti che il destino mi aveva sfilato di mano. Anche se quello al Carcano era stato concepito come un racconto per piano e voce, mentre questo ha un taglio pop-rock che di acustico conserva solo i primi cinque brani”.
Inizio anomalo.
“Lo so. È abbastanza atipico che un concerto pop si apra con un momento intimo. Volendo, però, prendere alle spalle lo spettatore, parto omaggiando Lucio Dalla con una versione voce e pianoforte di ‘Caruso’, una delle canzoni più difficili da cantare in quella dimensione. A Gardone manca il Golfo di Surriento della canzone, ma c’è il lago. E mi piace pensare la protagonista intenta a contemplarne la bellezza ammaliata dal luccichio delle onde. D’altronde ‘Caruso’ era una delle canzoni più amate da mio padre e, ai tempi in cui facevo pianobar, pure uno dei miei cavalli di battaglia. Quindi parto spiazzando il pubblico per poi sparargli una dietro l’altra ‘Se io se lei’, ‘Non ci facciamo compagnia’, ‘Vivimi’, prima di cambiare passo e prendere il largo col resto del repertorio compreso, ovviamente, quello del mio ultimo album, ‘L’inizio’”.
Il tributo a Dalla è anche un omaggio, trentadue anni dopo, al tour di “Cambio” che iniziò a farla conoscere al grande pubblico.
“In quel suo fortunatissimo giro di concerti Lucio volle ospiti me, Samuele Bersani, Angela Baraldi e Paolo Giordano, chitarrista di Pescara che frattanto il Covid s’è portato via. Ricordo che intonavo al piano ‘Cercasi disperatamente amore’ prima che Dalla tornasse in scena per eseguire ‘Cara’. Spesso s’incavolava perché, dopo aver cambiato registro al piano per adattarlo alla mia vocalità, mi dimenticavo di riportarlo su quello originale costringendolo a cantare due toni sopra”.
Del Vittoriale D’Annunzio diceva “tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore”. E lei ce l’ha un luogo a forma della sua mente?
“No, io uno spazio specifico in cui trasporre la mia anima non ce l’ho. D’Annunzio è un uomo che ha cambiato tante città, che ha amato tante donne, che non ha mai avuto paura di essere giudicato, mosso, come dicevo, da un egoismo che a me è mancato. Forse perché prima di fare questo che fatico ancora a considerare un mestiere ho lavorato in cantiere e quindi so di essere stato incredibilmente fortunato”.
“Ama il tuo sogno se pur ti tormenta” diceva il Vate...
“Quando, non riuscendo a vivere solo di musica, facevo il geometra, pure io ero tormentato dal mio sogno. Mi promisi pure che se entro i trent’anni non fossi riuscito a sfondare avrei abbandonato la musica per non dover sopportare ulteriormente quello stillicidio”. Ci ha pensato il successo di “Liberatemi”, quasi sul filo di lana, a evitare l’irreparabile.