
Chick Corea
Milano, 12 febbraio 2021 - Rivedo l'ultimo concerto all’Orto Botanico di Città Studi a Milano, un piano solo armonico, in cui suonava tutto lo sguardo del suo mondo. Il tocco ricordava le radici della sua musica, perché Corea riporta spesso il jazz alla classica, a cui riconosce sfumature, una verticalità dei dettagli inaudita nel jazz. Una complessità che introietta influenze diverse, nella consapevolezza del Novecento. Bill Evans, Cecil Taylor, ma prima Thelonious Monk e Bud Powell, bello il suo tributo, per arrivare, come McCoy Tyner al primo nome che mi verrebbe in mente, Art Tatum. La classica complessità che lui ricerca nelle pagine di musica colta o nelle composizioni di piano solo.
Fra jazz, classica e influenze latin
Scusate se non ho iniziato con i Grammy, i riconoscimenti, il successo globale della sua band più popolare, i Return To Forever, elettrica e brasiliana, ma scelta netta e musicale rispetto alla confusione del jazz rock. Il contrario di quel che aveva suonato nella rivoluzione elettrica di Miles, un passaggio verso la sua avanguardia, sperimentazione all’ombra di un genio. E il suo quartetto The Circle (1971), con Holland, Altshull e Braxton è il selfie, forse unico, di una possibile classicità del free jazz. Armando Anthony Corea, figlio di siciliani e calabresi, babbo musicista jazz, ma subito studi classici al pianoforte, scopre la musica latina a Boston con l’orchestra di Phil Barboza, roba torrida di trombe e congueros, nel 1962 viene ammesso al corso superiore di pianoforte della Juillard, che lascia per Mongo Santamaria e Willie Bobo. Con Cal Tjader scopre il vibrafono, con Blue Mitchell il mondo e l’estetica del suono Blue Note, che rimarrà nel suo stile. Gli album Blue Note, anche come sideman, sono fra le pagine meno note ma importanti della sua crescita, nel 1966 sostituisce il vibrafonista Gary Burton, suo futuro socio, nel quartetto di Stan Getz, firma il suo primo album. Il secondo, “Sweet Rain” (1967) è già un segnale per critica e pubblico, “Now He Sings, Now He Sobs” con Miroslav Vitous e Roy Haynes, un piccolo capolavoro. E Tony Williams lo porta da Miles per la svolta elettrica che passa innanzitutto dalle tastiere. Davis ascolta Joe Zawinul al Rhodes e al Wurlitzer, ma chiama Keith Jarrett e Chick, che suona le tastiere elettriche in un modo diverso. Herbie Hancock, veterano di The Quintet, andrà invece per la sua strada con gli Head Hunters, ma è Corea a suonare nell’ultimo tour del leggendario gruppo di Miles. Poi incide con Wayne Shorter, fonda e scioglie The Circle, mantenendo il trio. Dedica tempo alla sua idea di musica contemporanea nelle “Piano Improvvisations” (1971), ben prima di Jarrett.
Il pianoforte che spiazza
Nel 1972 lancia i Return to Forever, che scioglie dopo un trionfo di due album e tour, va in studio con il vibrafonista Gary Burton, Al Di Meola incoraggia il suo Spanish Mood, vince un Grammy con “No Mistery”. Ritorna al pianoforte e alla classica, registra Mozart, colleziona duo pianistici con Hancock, Jarrett, Gulda. Ogni tanto va in vacanza elettrica con i Return to Forever, torna ad Antibes, dove aveva suonato nel 1969 con Miles, in duo con il chitarrista John McLauglin, un altro ex del primo Davis elettrico. Decide che la Elektric Band lo accompagnerà fra solo e trios, sempre notevoli, fino alla fine, unica eccezione il sestetto Origin. All’Orto Botanico di Milano ho riconosciuto in un pianoforte, la sorgente acustica e armonica, tutti questi mondi. Difficile definire il pianismo di Corea. Architettura complessa, romantico e caldo, elegante nel suo mood latino, che diventa personale nella tensione dell’improvvisazione, nel momento di rottura, dove il tocco e i dettagli classici hanno un suono tagliente. Una composizione anche instantanea che trova nella rarefazione armonica e nella volubilità melodica, spiazzante, la sua cifra. Lascio al grande Alain Gerber le ultime parole: “...Ama le frasi rapide, sinuose e chiare, le sonorità ricche e nitide, i ritmi saltellanti, gli accompagnamenti sobri. Il tocco resta al limite di una percussione, netto e autoritario, ma non duro”. Oltre agli album citati consiglio “In a Silent Way” con Miles, “Trio Music” (1981), “Spanish Sketch” (1993), “Remembering Bud Powell” (1997), “New Trio” (2001), “Rendezvous in New York” (2003), “Five Trios” (2008).