
Un’immagine del coro dell’Ana che si esibirà questa sera all’Auditorium di largo Mahler con le canzoni della tradizione. Dirige le voci il Maestro Massimo Marchesotti, foto sotto, che ha sottolineato come i testi siano stati modernizzati e rivisti
Milano, 27 novembre 2016 - Un canto che attraversa la storia del nostro Paese, dall’unità d’Italia alla Seconda guerra mondiale, speranze e delusioni di giovani generazioni. Le canzoni degli alpini sono un patrimonio da conservare e tutelare. All’Auditorium di Milano stasera concerto straordinario del Coro Ana, Associazione Nazionale Alpini Milano, diretto dal maestro Massimo Marchesotti, in occasione dell’uscita del nuovo cd “La mia bela la mi aspetta” (Decca). Sedici canti alpini e militari scritti fra il 1896-1943; le armonizzazioni dei brani vedono autori importanti, fra cui il pianista Arturo Benedetti Michelangeli, notoriamente sensibile a questo repertorio. Una serata di musica, quindi, all’insegna dei canti della Grande Guerra, espressione della tragedia delle trincea e voce di un intero popolo.
Direttore, come avete scelto i brani dell’album che proporrete questa sera?
«Con la casa discografica Decca abbiamo selezionato i canti militari partendo da “Mamma mia vienimi incontro” scritto dagli alpini nel 1896 mentre combattevano in Africa. Un massacro, erano stati preparati per la montagna invece si ritrovano in un continente caldissimo. Lo stesso tema viene affrontato anche in “Alpini in Libia” del 1911, questi canti introducono il percorso musicale fra le due guerre, fino alla ritirata di Russia del 1943 in cui muoiono100.000 alpini. Michelangeli ha armonizzato diciannove canti popolari fra cui “La mia bela la mi aspetta”, titolo del concerto».
Perché i canti degli alpini sono entrati nella tradizione popolare?
«Sono pochissimi quelli d’autore, uno dei pochi è “Stelutis Alpinis” di Zardini, armonizzato da Veneri. Tutti gli altri sono d’origine popolare e rielaborati. “Il testamento del Capitano”, in cui il protagonista chiede che il suo corpo venga diviso in cinque parti, per farne dono ai suoi cari è famoso ma tutti ignorano che è stato scritto nel 1580 ed è ispirato al testamento del marchese di Salluzzo morto durante il conflitto con i francesi. Le altre armi non hanno avuto questo legame con la musica popolare, gli alpini provengono dalle valli in cui queste canzoni sono nate e l’hanno portate con sé in guerra rivisitandole, ricantandole»,
Quanti sono esattamente i canti degli alpini?
«Circa una trentina, gli altri sono militari, bisognerebbe fare una distinzione. Un nostro canto “Centomila gavette di ghiaccio”, ispirato al libro di Giulio Bedeschi, è stato rielaborato da Piero Soffici, un compositore di musica leggera, le parole sono di Vito Pallavicini. Non sempre la canzone d’autore può funzionare, mentre la tradizione popolare sì».
Come proporre oggi i canti militari?
«Noi abbiamo intrapreso da anni un percorso mirato, vogliamo ripulire il repertorio dei canti alpini dalla retorica della guerra, dell’eroe, dall’enfatizzazione della morte “felice”. Non è mai esistita, nel nostro cantare c’è la verità del morire inutilmente per una guerra subita che nessuno di quei giovani morti sulle montagne aveva scelto».
Chi sono i coristi dell’ Ana?
«La maggior parte di noi vive a Milano o in Provincia. I più giovani hanno trent’anni, i più anziani, come me, ottanta. Proviamo due volte alla settimana e nessuno di noi è pagato».