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Il restauro della Dama del Pollaiolo
Milano – “Un restauro dal vivo, così partecipato, non mi era mai capitato, in tanti anni di carriera”. Carlotta Beccaria è la restauratrice che insieme al collega Roberto Buda ha riportato all’autentico splendore il Ritratto di giovane donna del Pollaiolo, uno dei capolavori del Museo Poldi Pezzoli diventato il simbolo della casa museo milanese. Dal 14 ottobre i due esperti hanno lavorato sul dipinto in presenza del pubblico. “C’erano persone così emozionate, al limite delle lacrime”, racconta Beccaria. Da venerdì 14 febbraio, la Dama tornerà al suo posto, nella giornata di San Valentino.
Perché avete deciso di restaurare la Dama?
“La domanda conservativa a cui noi siamo tenuti a rispondere ha portato la direttrice del Poldi Pezzoli, l’architetto Alessandra Quarto, a prendere una decisione in tal senso. Guardando l’opera era evidente che c’era un problema strutturale determinato da quelle “traverse“ troppo rigide, inserite nella struttura del legno, durante un precedente restauro di Mauro Pelliccioli nel 1951. La pellicola pittorica, gravata da strati di vernice messa a protezione, presentava piccoli sollevamenti, e aveva creato ingiallimenti. Era arrivato il momento di intervenire”.
Ad un certo punto avete fatto fare una Tac alla Dama, perché?
“La radiografia bidimensionale fatta dieci anni prima non bastava più. Così abbiamo scoperto che c’erano anche molte gallerie di tarli che mettevano seriamente a rischio il colore del dipinto. Quindi, abbiamo tolto le traverse rigide, ne abbiamo messe delle altre elastiche, pulito la superficie, tolto i vecchi restauri che risalivano a 75 anni fa. I colori sono tornati brillanti. L’azzurro del cielo che era verde è tornato azzurro; l’incarnato della Dama tendeva al giallo e ora ha il colore leggermente diafano delle ragazze di metà Quattrocento. Siamo riusciti anche a recuperare le ombreggiature, nello sguardo, sul collo”.
Che cosa l’ha emozionata di questo delicato lavoro?
“Lavorare su un’opera che ho nel cuore, ho accompagnato la Dama in Giappone, con lei ho una certa consuetudine. Sono grata alla direttrice Quarto per avermi dato questa possibilità. È stato emozionante lavorare su un’opera enigmatica come questa; è una ragazza di cui non conosciamo l’identità, sappiamo che aveva 14-15 anni, forse era in procinto di sposarsi, e lo si capisce dalle perle che indossa, riservate alle promesse spose o neo spose. È stato come iniziare un dialogo con lei: lo sguardo è intenso, io ci ho visto della determinazione, o almeno mi piace sperare così. Dall’altro lato è stato bello vedere l’affetto del pubblico, la presenza costante. Ogni settimana facevamo dei brevi incontri per raccontare l’evoluzione. Per i milanesi è un’immagine rappresentativa, il rapporto è molto speciale, non penso che ci sarebbe stata altrettanta presenza di pubblico per altre opere. La Dama cattura l’immaginario, perché c’è del mistero attorno a lei”.
Quale?
“Abbiamo scoperto che ci sono dei bordi esterni non dipinti su cui forse poggiava una cornice applicata, che probabilmente è stata rimossa entro la fine del 1700. Ma su questo abbiamo ancora molti quesiti da sciogliere”.
Non ha mai, con il suo collega, avuto dei timori, dubbi, in corso d’opera?
“La Dama si è comportata bene! Quello che ci aspettavamo di trovare abbiamo ritrovato, avevamo una campagna diagnostica completa, dalla quale abbiamo capito che il Pollaiolo era meticoloso, aveva messo più imprimitura intensa al cielo. Quello che abbiamo trovato di molto interessante è la capacità tecnica del Pollaiolo, ad esempio eseguire i gioielli quasi in maniera tridimensionale, sembra quasi, ad osservare bene, che abbiano spigoli metallici. Lui lavorava a stretto contatto con il fratello che era un orafo molto importante, nella Firenze della seconda metà del Quattrocento, erano oggetti che poteva tenere in mano. Anche solo passare il dito sulla collana (eh sì!) ti sembra di prenderla. La stessa cosa per del velluto, ogni ricciolo è in rilievo, una tecnica incredibile, è un vero maestro”.