Bises A Milano funziona così: non sei mai stato in una zona, in un nuovo spazio e quando lo scopri per caso e approfondisci ecco che tutto si condenserà lì nelle successive settimane. Eventi, vernissage, incontri di lavoro e cene con gli amici. D’altronde è una città piccola e le novità spingono i curiosi ad accorrere di rapido passo. Tra i nuovi indirizzi interessanti per l’architettura e per la proposta artistica c’è la galleria Scaramouche progettata dallo studio Q-Bic che si è occupato di ristoranti in voga come Moebius o La Menagere di Firenze. Spogliato di orpelli che nulla hanno in comune con le stratificazioni architettoniche di Milano, l’ambiente risulta però perfettamente calibrato nel suo contesto urbano: là dove tra Fondazione Prada ed ex stabilimenti la città cresce e si aggiorna.
Cemento a vista, linee essenziali, scale di grigi lapidari, a rinvigorire di colore solo un ulivo e le opere dell’attuale mostra. La Galleria nasce a New York nel 2009 e la scelta di aprire a Milano non fa che ravvivare l’intuizione di un luogo cardine per artisti e designer con progettualità internazionali. L’inaugurazione di Scaramouche ha dato vita quasi a un museo dedicato alle opere di James Brown, l’artista americano presentato in mostra fino ad aprile, morto in un incidente stradale con la moglie nel 2020. I quadri ripercorrono la visione astratta degli anni dal 1981 al 1986 in cui inserisce tradizioni moderniste e reminiscenze arcaiche. Compaiono figure stilizzate, disegni a tratti egizi, cappelli religiosi, elementi delle popolazioni indigene in una qui colorata o là neutrale composizione enigmatica ma armoniosa. Questo debutto ha permesso di avvicinare opere già presenti in Galleria e altre di proprietà di collezionisti di tutto il mondo, tra cui il ritratto di Andy Warhol, un leggero accenno di bianco su uno sfondo nero grafite che James Brown gli regalò nel 1984. Un omaggio al Graffitismo newyorkese nella perfetta cornice già iper-milanese.