EMANUELE ALBERTI
Cultura e Spettacoli

Addio a Ermanno Olmi, l'amore per la Lombardia nei film del regista

Dalla Val Camonica ne "Il tempo si è fermato" alla Milano de "Il posto", dalla Bergamasca de "L'albero degli zoccoli" al Po mantovano di "Centochiodi"

Il Naviglio Grande a Robecco

Bergamo, 7 maggio 2018 - Le radici, prima di tutto. A maggior ragione per l'uomo, il regista che, più di tutti, ha innalzato ai massimi livelli la rappresentazione della realtà, ereditando e conservando in uno scrigno il discepolato artistico rosselliniano. E le radici di Ermanno Olmi sono lombarde. Nato a Bergamo e non a Treviglio (“Tutti si sbagliano”, ripeteva il cineasta), trascorse i primi anni della sua vita con i genitori nel quartiere operaio milanese della Bovisa, d'estate la vita rurale nell'abitazione trevigliese della nonna materna. Un binomio profondo, quello città-campagna, descritto nel romanzo “Ragazzo della Bovisa”, con cui il regista si aggiudicò il premio Grinzane.

Nel secondo dopoguerra, assunto dalla Edison, il cineasta si occupò dei documentari aziendali, riprendendo principalmente la costruzione delle grandi dighe e delle centrali idroelettriche alpine: immortalò lo sbarramento idrico della Valle del Reno di Lei nel corto “Un metro lungo cinque”, tra la Valchiavenna e il territorio elvetico, e, alla fine degli anni Cinquanta, chiuso con due attori non professionisti in una baracca nei pressi del lago Venerocolo, nella bresciana Val Camonica, girò il suo primo lungometraggio “Il tempo si è fermato”. Anche le opere comprese tra gli anni del boom economico e gli inizio degli anni Settanta, quando la visione positivista olmiana entrò in crisi, sono decisamente lombarde: la brianzola Meda e la Milano cantierizzata, nella quale sboccia a metà l'amore dei due giovani protagonisti del capolavoro “Il Posto”; la casa natale di Papa Roncalli a Sotto il Monte, nella Bergamasca, in “E venne un uomo”, la cascina meneghina ne “La circostanza”; lo stabilmento Star di Agrate in “Un certo giorno”; l'alienante Milano in cui si muove il bizzarro e romantico falsario di “Durante l'estate”.

Ma è passando in rassegna le location de “L'albero degli zoccoli”, cinepoema contadino premiato a Cannes nel 1978, che si può cogliere ancora più profondamente l'amore di Olmi per la campagna lombarda. Gran parte della pellicola è girata nei Comuni della Bassa Bergamasca (Mornico al Serio, Martinengo, Palosco, Cividate al Piano, Cortenuova, Calcinate, Treviglio), sconfinando nell'area bresciana di Pontoglio e raggiungendo la Bassa Bresciana con le scene del mulino di Dello. Il viaggio dei due giovani sposi è ambientato lungo il Naviglio Grande, dalla chiatta si colgono scorci di Castelletto di Cuggiono, Bernate Ticino, Robecco sul Naviglio, fino all'approdo ad Abbiategrasso. Le vie milanesi de “L'albero degli zoccoli” sono in realtà collocate nel centro storico di Pavia.

All'aspra critica alla “Milano da bere” in Milano '83, seguì una svolta ecologista del regista. Tra gli anni Novanta e Duemila al centro di due opere olmiane vi è il Po mantovano, prima con lungometraggio “Lungo il fiume” del 1992, poi con Centochiodi del 2007, girato tra San Benedetto Po e Bagnolo San Vito. La chiusura del cerchio è del 2010 con la produzione documentaristica “Rupi del vino”, una celebrazione dell'eroica viticultura su terrazzamenti in Valtellina. Un ritorno alla montagna dalla quale tutto era partito.