ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

La missione di Fabio Treves: "Portare il mio Blues ovunque"

Al Parco Tittoni il 28 agosto: "Ho scoperto l’armonica grazie agli Who. Avrei voluto suonarla per De André"

Fabio Treves

Desio (Monza) - Se John Belushi e Dan Aykroyd erano in missione per conto di Dio, Fabio Treves è in missione per conto del Blues. Da quasi mezzo secolo. E il 28 agosto il "Puma di Lambrate" sbarca con la sua Treves Blues Band a Desio per "evangelizzare" il popolo del Parco Tittoni. "Quando nell’80 ho visto ‘The Blues Brothers’ ho trovato pazzesca la coincidenza che Jake ed Elwood nel film vengono spinti a suonare dalle ‘pinguine’, come chiamano le suore dell’orfanotrofio in cui sono cresciuti" racconta Treves. "Un po’ quanto accaduto alla TBB, che ha mosso i primi passi nel salone di un convitto in via Ponzo gestito da alcune ‘sorelle’. Pure noi, come i Fratelli Blues, abbiamo portato la musica del Delta ovunque; nei teatri come nelle feste di piazza, nelle residenze per anziani come nelle scuole, negli oratori, nelle carceri o nelle fabbriche. Il blues poggia, infatti, su valori importanti da diffondere come la solidarietà, la fatica, il riscatto sociale, e ti premia se sei bravo, se riesci a trasmettere emozioni forti, non se vinci un talent show".

Appagato? "Assolutamente. Io ho dato tanto al blues e lui ha dato tanto a me, facendomi conoscere tanti amici, tanti musicisti straordinari, ma pure mia moglie Susanna, grande appassionata che mi accompagna a tutti i concerti, mi prepara le scalette, e considero, di fatto, il quinto elemento della band".

L’armonica l’ha scoperta quasi diciottenne, al Palalido. "Pur avendola ascoltata nei dischi dei Beatles, degli Stones o di Dylan, ne rimasi folgorato nel ’67 al concerto milanese degli Who. A sorprendermi fu innanzitutto il modo in cui la suonava il cantante ben vestito e ben pettinato della band di supporto, i Primitives. Ovviamente si trattava di Mal. Quando poi l’ascoltai pure tra le labbra di Roger Daltrey capii che sarebbe diventato il mio strumento".

Di soddisfazioni gliene ha date parecchie. "Nel blues molte, ma anche in altri campi. Ad esempio nei dischi di artisti pop che mi hanno voluto nelle loro canzoni come Branduardi, Bertoli, Cocciante, Elio e le Storie Tese, Finardi, Mina, Celentano. Avrei tanto voluto poter suonare l’armonica in ‘Quello che non ho’ di Fabrizio De André, uno dei miei favoriti, ma sono contento lo stesso, perché in quel pezzo lo fece (benissimo) Andy J. Forest che è un mio Blues Brother. Mi spiace pure di non aver avuto l’occasione di farlo con un altro amico quale Enzo Jannacci".

Suo padre Gaddo se n’è andato prima che lei iniziasse a salire sul palco. Qual è il concerto in cui avrebbe voluto tanto averlo in prima fila ad applaudire? "Probabilmente quello al Palatrussardi la sera in cui Frank Zappa m’invitò sul palco a suonare con lui. L’idea di essere stato l’unico italiano ad esibirsi, per ben due volte col genio di Baltimora è qualcosa che ancora oggi rasenta il sogno; un po’ come sentirmi definire ‘anarchico’ nella sua biografia. Comunque, mio padre lo sento in sala ogni sera… e sono convinto che si diverte".