
David Riondino
Milano, 27 aprile 2019 - Non ti puoi muovere. Eppure non sei sotto scacco. Questa la definizione nel gioco degli scacchi. Ma (ovviamente) in scena «Lo Stallo» assume sfumature parecchio più esistenziali. Raccontando dell’uomo, di una società in crisi, della difficoltà di avere un giudizio sulle cose. Non a caso a firmarlo è Sandro Luporini, che ha affidato a David Riondino questa sua nuova, inattesa scrittura. Un piccolo evento. Solo domani alle 20.30 allo Strehler per il Festival Milano per Gaber. Un ritorno all’epoca d’oro del teatro-canzone. Con Riondino a guidare un lavoro portato in scena insieme alla sorella Chiara, Luca Ravagni e i Khorakhanè.
Riondino, come nasce «Lo Stallo»?
«Qualche tempo fa i Khorakhanè hanno chiesto a Luporini alcune nuove canzoni per un loro disco e questa collaborazione ha rimesso in moto in lui la creatività e la voglia di scrivere. Ha così composto un lavoro nella tipica forma del teatro-canzone: i monologhi sviluppano i temi, in maniera critica e spiritosa, mentre alle canzoni sono affidati i colori più emotivi».
Non teme sul palco il confronto con Gaber?
«Ho fatto di tutto per evitare il rischio. Non volendomi sostituire a lui, ho subito proposto una voce femminile e mia sorella mi è parsa la scelta migliore, grazie alla sua voce così teatrale, narrativa, non impostata. Mentre io mi dedico alla lettura al leggìo, in modo da dichiarare ulteriormente che si sta ragionando sulla scrittura. Per lo stesso motivo c’è un secondo leggìo rivolto verso gli spettatori, a cui ogni tanto giro le pagine, come se si sviluppasse insieme il testo».
Di cosa parlano i monologhi?
«Di colpi e contraccolpi. Sono racconti sulla propria libreria, sul letto, su una camminata al mare. Considerazioni più o meno paradossali che compongono una riflessione sul quotidiano e il vivere insieme, tenendosi distanti da ogni giudizio definitivo. Si crea a quel punto una stasi, non ti puoi muovere, come appunto lo stallo negli scacchi, per quante contraddizioni tu possa osservare intorno a te».
Ma quindi come ci si libera?
«Gettandosi nella vita, con un gesto decisamente esistenzialista. Lo racconto sul palco. Magari imparando a cantare, facendo qualcosa per se stessi. Oggi come quarant’anni fa».
Ci racconti di Luporini.
«Di dieci anni più vecchio di Gaber, è scrittore, pittore, giocatore di basket. Ha vissuto negli anni Cinquanta a Parigi e nei lavori con Gaber ha inserito molte tematiche dei movimenti letterari dell’epoca. È stata una scelta di entrambi che le loro voci si fondessero ma forse questo ci ha allontanati dal riconoscerne l’autorialità. Basti pensare che in questi anni è stato rappresentato altrettanto spesso di gente come Pirandello o Fo. In qualche modo è una piccola perla drammaturgica».
Una perla di quasi novant’anni.
«Ma la gente non lo sa nemmeno. Ora è un uomo che vive il presente senza rimpianti, un uomo lucido che ha fatto quello che desiderava fare. Volitivo, anarcoide, uno di quegli spiriti viareggini liberi e alti, un po’ alla Monicelli».