DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Figli di Abramo. Tra il western e la Palestina

A volte sul palco arrivano temi decisamene curiosi. E meno male. Anche se in questo caso l’ispirazione è davvero...

A volte sul palco arrivano temi decisamene curiosi. E meno male. Anche se in questo caso l’ispirazione è davvero...

A volte sul palco arrivano temi decisamene curiosi. E meno male. Anche se in questo caso l’ispirazione è davvero...

A volte sul palco arrivano temi decisamene curiosi. E meno male. Anche se in questo caso l’ispirazione è davvero bizzarra: il profeta Abramo, condiviso da ebrei, cristiani e musulmani. Ufficialmente il primo credente monoteista del mondo, visto che rifiutò l’idolatria dei suoi tempi, cosa che gli causò non pochi problemi. Un esule. A cui tuttavia oggi fanno in qualche modo riferimento miliardi di persone sulla terra. O qualcosa del genere. Perché certo è meglio farsi spiegare le cose da Stefano Sabelli in “Figli di Abramo“, da stasera a venerdì al Litta di corso Magenta, per la stagione di MTM. Sottotitolo: Un patriarca, due figli, tre fedi e un attore. Speriamo invece che gli spettatori siano meno facili da contare. Per questa affabulazione scritta in origine da un attore norvegese, Svein Tindberg. Che rimanda un po’ a certe atmosfere del Mistero Buffo di Dario Fo. Un monologo. Che nel profondo nord è diventato campione d’incassi. Qui per la prima volta esportato all’estero, con adattamento dello stesso Sabelli, regia di Gianluca Iumiento e musiche dal vivo curate da Manuel Petti. Bella squadra. Per raccontare del viaggio intrapreso da un attore e dalla sua guida palestinese, appassionata di film western. Loro a mettersi sulle tracce dell’Abramo perduto. Componendo un mosaico di frammenti divertiti, poetici, a tratti drammatici. Dove emergono radici comuni. La vicinanza storica di popoli e di religioni. Una specie di dna condiviso. Su cui intrecciare culture e spiritualità.

Diego Vincenti