Milano, 26 marzo 2017 - Cosa serve davvero allo sviluppo economico? Pubblica amministrazione efficiente e onesta, politica per la concorrenza, giustizia civile veloce ed efficace, ambiente favorevole a fare nascere e crescere le imprese. Lo racconta bene Andrea Boitani in “Sette luoghi comuni sull’economia”, Laterza, provando a smontarli, con la competenza e la chiarezza del buon economista: “L’economia europea va male perché c’è l’euro”; “ci vuole l’austerità se il debito pubblico è alto”; “l’inflazione ossessiona le banche centrali”; “l’Italia va male perché è poco competitiva”; “è tutta colpa delle banche e della finanza”; “senza le riforme non si esce dalla crisi”; “per rilanciare l’economia servono grandi investimenti infrastrutturali”. C’è del vero, in ognuna di queste affermazioni. Ma i pregiudizi non fanno capire come stanno davvero le cose su lavoro, fisco, debito pubblico, imprese. Chiarite le cose, Boitani insiste sulle “politiche della domanda” (salari, consumi, commercio internazionale aperto).
Sulle riforme essenziali (qualità e rapidità della giustizia, formazione, “guerra alla corruzione e alla criminalità organizzata”). E su politiche dell’Europa, “ridisegnando il sistema fiscale Ue”, “integrando i piani fiscali nazionali nel medio-lungo periodo” e favorendo “il piano degli investimenti europei” in infrastrutture, materiali e immateriali (“digital”, ricerca, formazione, etc.). È un disegno riformatore ambizioso. Ma possibile. Cuore delle riforme? La pubblica amministrazione, la “casta” che le ostacola. Come raccontano Francesco Giavazzi, autorevole economista e Giorgio Barbieri, giornalista, in “I signori del tempo perso”, Longanesi, documentato pamphlet contro “i burocrati che frenano l’Italia” e su “come provare a sconfiggerli”. Un buon esempio viene dal Giappone di fine Ottocento, quando l’imperatore abbatte i privilegi dei samurai ma per evitare di essere bloccato, li integra nella modernizzazione dell’economia, nel cuore delle nuove imprese. In Italia, oltre che snellire le norme (“meno leggi e meno regole, più liberalizzazioni, più concorrenza”), combattere la corruzione e fare funzionare meglio la giustizia, serve agevolare i passaggi dei burocrati “dal pubblico al privato” e viceversa (rompendo le incrostazioni di potere) e ridare alla politica centralità nelle scelte e nella loro esecutività, sottraendole alla burocrazia.
“Perché l’Italia cresce poco” prova a spiegarlo pure Alfredo Macchiati, per Il Mulino: debolezza storica e contemporaneamente “onnipresenza” dello Stato, mancate riforme per fare fronte alle varie stagioni della modernizzazione e dei cambiamenti dell’economia, sistema finanziario “che non è motore di sviluppo”, fisco squilibrato, vincoli europei sul bilancio pubblico che, in presenza d’un debito mai tenuto a freno, sottraggono risorse per investimenti, riforme del welfare, miglioramento del Paese. A partire dalla pubblica amministrazione.