Milano, 16 ottobre 2022 - Giorgio c’è. È proprio vero che, da quando ha iniziato a imitarlo, Panariello non s’è più liberato di Renato Zero… ma neppure Renato di lui. Il titolo del suo ultimo spettacolo, "La favola mia", rimane sulla scia, per raccontare l’uomo nascosto dietro la maschera. Nell’attesa di portarlo in scena l’1 e 2 dicembre sul palco del Lirico Giorgio Gaber, il comico toscano ne ha parlato in redazione al Giorno.
Capovolgendo il titolo di un suo fortunato varietà televisivo: Panariello esiste. E sta a teatro. "Questo spettacolo ha avuto una vita prima e una dopo il lockdown. All’inizio l’avevo concepito come una celebrazione dei miei sessant’anni d’età, dei trenta di carriera, dei venti di “Torno sabato“, lo show di RaiUno che mi ha dato la grande popolarità".
Poi cos’è successo? "A tu per tu con me stesso, l’isolamento m’ha fatto capire che la cosa migliore da fare era rinunciare a costumi, lustrini, paillettes, effetti speciali per raccontarmi semplicemente. Come se invece di trovarmi su un palco fossi nel salotto di casa con gli amici".
Cosa l’ha convinta? "Lo scorso anno, lavorando al libro su mio fratello, mi sono reso conto che ogni periodo della mia vita è stato segnato dagli incontri con personaggi capaci in un modo o nell’altro di segnarmela. Gente come Zero, ma anche come il campanaro di quando facevo il chierichetto".
Racconta più Giorgio che Panariello, tant’è che il finale scava nel rapporto con suo fratello Franco come fa in “Io sono mio fratello”. "Come nel libro, racconto il senso di colpa nei confronti di Franchino perché a me nella vita è andato quasi tutto bene e a lui tutto male. Grazie al fatto di essere venuto al mondo un anno prima di Franco, ho avuto la sorte di essere adottato dai nonni, mentre lui è finito in collegio. Fosse accaduto il contrario, probabilmente nei suoi panni mi ci sarei trovato io".
Un libro terapeutico. "Sì. Ho iniziato con l’intenzione di farne un monologo, ma via via, davanti alla mole di cose che sentivo il bisogno di raccontare, ho pensato di trasformare tutto in un libro. Anche per mettere in chiaro che Franco non se n’è andato per overdose, ma per altro, visto che lui la sua battaglia con la droga l’aveva vinta".
Di solito spettacoli di questo tipo servono ai comici per testare personaggi, storie e situazioni da riproporre poi in tv. È pure il suo caso? "Si comincia sui piccoli palcoscenici, per passare poi a qualche piazza estiva e di lì ai grandi teatri. Ma se lo spettacolo funziona o no, lo capisci già alla terza data. Visto che i pugliesi ridono, i siciliani anche e i torinesi pure, ho coscienza che ci siamo. Con lo spettacolo pronto, le repliche servono a tenersi in esercizio e a farsi venire nuove idee per aggiornarlo di continuo in attesa dell’appuntamento televisivo".
Solo che adesso… "Visto il cambio di equilibri politici determinato dalle elezioni, non so chi deciderà in Rai i miei destini. Anche se oggi non esiste solo la tv, perché ci sono le piattaforme ad allargare il campo delle possibilità".
Quando è andato ospite di Zero al Circo Massimo s’è inginocchiato. Cosa doveva farsi perdonare? "Di avergli “rotto gli zebedei“, come dice lui, per decenni. E di tutti quelli che l’avvicinano dicendogli: “… e mi saluti tanto Panariello”".
È vero che ha scritto un fantasy? "Sì, nato come sceneggiatura per il cinema e poi diventato invece una serie tv a cui ci stiamo avvicinando pian piano".
Potendo cambiare qualcosa, cosa aggiungerebbe? "Vorrei avere più tempo per cavalcare l’attualità e caratterizzare meglio i personaggi. Pure la comicità vive di attualità e nel tempo tra una replica e l’altra rischi di trovare superato quello che funzionava solo il giorno prima. Vorrei essere Fregoli o Arturo Brachetti, anche solo per impersonare Briatore-Naomo che parla della sua pizza".
S’è mai chiesto fino a quando andrà avanti? "Sono convinto che morirò in teatro, come Molière. Dicendo “buonanotte, sipario!“ proprio mentre esalo l’ultimo respiro".