
Una scena di “Mamma mia!“, dal 30 aprile agli Arcimboldi
Altro che hit-parade ed Eurovision, Benny Andersson e Björn Ulvaeus la pensione continuano a pagarsela con le royalties di “Mamma mia!”, il musical concepito nel ’99 sul sacro repertorio degli Abba in scena a Milano dal 30 aprile all’11 maggio sul palco degli Arcimboldi. Un colosso dei palcoscenici che in ventisei anni di repliche in oltre 450 città ha richiamato 65 milioni di spettatori, con 50 produzioni in 16 lingue. Cui vanno sommati gl’introiti garantiti alla benemerita coppia scandinava (ma, in parte, anche alle sue celebratissime partner femminili Anni-Frid Synni Reuss e Agnetha Fältskog) dal blockbuster cinematografico realizzato nel 2008 da Phyllida Lloyd, regista pure del musical, e dal sequel “Mamma mia! Ci risiamo” girato nel 2018 da Ol Parker. Agli Arcimboldi arriva la versione internazionale (sottotitolata) di “Mamma mia!”, diretta dalla stessa Lloyd, libretto di Catherine Johnson, coreografie di Anthony Van Laast, scene e costumi di Mark Thompson. Donna Sheridan, madre di Sophie, figlia di troppi padri (potenziali), è interpretata dalla gallese Steph Parry, che sorride in videocollegamento da Parigi, dove lo spettacolo è in replica fino a domani, assieme a Richard Vorster, uno dei membri dell’ensemble, al manager della compagnia Peter Gibbon e al direttore artistico degli Arcimboldi Gianmario Longoni.
Steph, come si trova nei panni di Donna e soprattutto nel confronto con Meryl Streep che l’ha interpretata al cinema?
Parry: "Abbiamo iniziato a provare lo spettacolo a marzo dello scorso anno per debuttare ad aprile in Cina. In passato avevo già lavorato nel cast di “Mamma mia!“ ma solo come cover, sostituta, per i tre ruoli femminili principali. Donna è tre cose a un tempo: un’amica, una madre, una donna che s’è fatta da sé. Credo di somigliarle: siamo donne col lavoro al centro della loro vita, anche se io ho un partner con cui crescere mio figlio mentre lei ha dovuto farlo da sola. La fortunatissima interpretazione della Streep magari un po’ influenza, ma alla fine sono io a dovermi confrontare con il carattere e gli umori di Donna".
Lei Richard, invece, è pronipote di Giorgio Gaber.
Vorster: "Mia nonna si trasferì negli anni Quaranta in Sudafrica e suo padre era fratello di Guido, padre di Giorgio. Per introdurmi a Gaber mamma da bambino mi faceva ascoltare “Goganga“ ed ero divertito dalla storia di questo signore che andava all’ambulatorio del dottore a farsi curare un difetto, ma ne usciva poi con un altro".
Nel mondo le reazioni sono diverse?
Gibbon: "Se la storia, anche per barriere linguistiche, può suscitarne c’è la colonna sonora a tenere insieme tutto, Nel finale la reazione è ovunque la stessa".
Che posto ha “Mamma mia” fra i grandi musical londinesi?
Longoni: "Trattandosi di un musical un po’ anomalo per le logiche del West End, ha fatto una certa fatica ad arrivare sui palcoscenici: fino agli anni Novanta gli spettacoli con musiche già edite erano tabù o quasi. Ma ha avuto un successo immediato, enorme, popolare, e questo ha aperto una nuova stagione nel settore. Tant’è che tutt’ora è uno dei simboli del West End. E poi c’è la storia. Quella di una figlia che non riesce a liberarsi dalle proprie radici finché non le conosce. E liberandosi lei, libera la madre, il padre, mostrando così più di un punto di contatto con “Filumena Marturano“ di Eduardo De Filippo".
Cosa cambia rispetto all’originale?
Gibbon: "Lo spettacolo esiste da 26 anni ed è in tour da 20. Questa versione internazionale, che conta su uno staff di 67 persone fra cui 27 performer, è più grande di quella del West End perché destinata a teatri di maggiori dimensioni di quelli che la ospitano a Londra (attualmente il Novello Theatre, ndr), ma il concetto è lo stesso".