Una tavolozza di note. La storia dei ritratti musicali di Claudio Alessandro Savoldi Bellavitis, in arte solo Klaus, ha una lunga storia. "Ho cominciato a descrivere musicalmente le persone all’età di 17-18 anni, per fare colpo sulle ragazze e per accorciare le distanze emotive con amici e conoscenti", racconta il pianista-compositore milanese nato per una serie di coincidenze a La Spezia. "Poi il decennio passato negli Stati Uniti a realizzare colonne sonore m’ha reso automatico tradurre in musica qualsiasi stato emotivo vedessi sullo schermo, perché davanti ad un primo piano capisci lo stato d’animo che c’è pure dietro al movimento di un muscolo. Ad un certo punto mi sono reso conto che questa traduzione era diventata un vero e proprio linguaggio: incontravo persone che nella mia mente diventavano flussi di note".
Suggestivo, ma non proprio una novità. "Infatti. Scherzando dico che a nessuno era venuto in mente di fare ritratti musicali prima del 300 dopo Cristo, nel senso che la storia è piena di opere del genere a cominciare dalla più popolare e amata di tutte: il ritratto musicale di Elisabeth Röckel fatto da Beethoven nel 1810 con la bagatella ‘Per Elisa’ (anche se, in realtà, il manoscritto originale fu ritrovato fra le carte di un’altra avvenente conoscenza del compositore tedesco, Therese Malfatti von Rohrenbach, ndr). La caratteristica dei miei ‘ritratti’ è quella di metterli su QR code inseriti in piccoli gioielli di valore per renderli, a loro modo, eterni. Prima di diventare scaricabili, tutte le composizioni vengono rifinite in uno studio di registrazione in formato Dolby Atmos".
Un’attività artistica che incrocia quella commerciale. "Al di là dell’aspetto imprenditoriale che, in tutta sincerità, m’interessa relativamente, sono attratto dal ponte tra trascendente e immanente, visibile e invisibile, che un progetto del genere realizza realizzando quella che si potrebbe definire la colonna sonora della vita. Tant’è che due ragazze i loro codici se li sono fatti addirittura tatuare sul braccio".
Lei s’è laureato a Boston. "Sì, al Berklee College of Music, dove ho pure insegnato dividendomi con Milano dove avevo negli stessi anni la cattedra di musica da film al Conservatorio Verdi. Ma l’America l’ho girata in largo e in lungo. Al Playboy Comedy Club del Palms Casinò di Las Vegas, ad esempio, andavo in scena tutte le sere col mio spettacolo di ‘jazz & magic’. Facevo pure ipnosi musicale lasciando gli spettatori del parterre con le mani incastrate, oppure chiamandone uno sul palco per farlo suonare in trance nel vuoto mentre io, li accanto, replicavo sulla tastiera del pianoforte i suoi gesti. Una volta Raoul Cremona mi ha detto che di maghi ne conosce diversi, ma maghi-mentalisti no".
A proposito d’insegnamento, differenze tra Stati Uniti ed Italia? "Una curiosa. Quando gli studenti s’annoiano e iniziano a tamburellare sul tavolo con le dita o con la matita, da noi tengono un ritmo di 4/4 mentre oltre oceano per lo più di 2/4, perché hanno già un certo swing".