ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

Il premio per Antonia Jannone : "Passione per l’architettura dal 1977. Che sorpresa il riconoscimento"

Triennale Milano le conferisce oggi il Diploma d’Onore per il suo contributo al mondo dell’arte "Ma i tempi sono cambiati e Milano la riconosco poco. Troppi stranieri attratti dai marchi alla moda".

Antonia Jannone, riceverà oggi il Diploma d’Onore della Triennale

Antonia Jannone, riceverà oggi il Diploma d’Onore della Triennale

Oggi alle 17, nella sede di corso Alberto 47, la Triennale di Milano conferirà, "per il grande contributo al mondo del design e dell’architettura", il Diploma d’onore ad Antonia Jannone.

Si sente onorata?

"Veramente, sono caduta dalle nuvole. Lavoro da tanti anni, e mai mi è venuto in mente di poter ricevere un tale riconoscimento".

Mettiamo in ordine le date.

"Avevo 33 anni quando sono arrivata a Milano, nel 1968".

Perché?

"Per inseguire il mio primo amore, un cugino, uomo però molto

corteggiato. Io sono napoletana, cresciuta a Salerno, estati a Positano: paese meraviglioso, pubblico molto gradevole, De Filippo invitava a colazione sull’isolotto Li Galli...".

Anche a Milano il clima era vivace.

"Sì, un lavoro, lo trovai subito all’agenzia di pubblicità dell’Eni. Ed ebbi la fortuna di essere presentata ad Andrea Cascella. Nella sua casa ho conosciuto Emilio Tadini, Vittorio Gregotti, Gae Aulenti, Valerio Adami, Bobo Piccoli, Lidia Silvestri. Tramite loro, mi sono interessata alla grafica. E con Maria Freccia ho fondato una piccola società per realizzare opere di

grafica, strenne per banche e ditte: un’idea che a nessuno era ancora venuta in mente".

Anche l’idea di aprire una galleria interamente dedicata all’architettura disegnata, a quei tempi, in Italia era una novità.

"Infatti, solo a Vienna avevo visto una mostra dell’architetto Walter Pichler. A Milano, ho incominciato a concentrarmi su questa espressione artistica nel 1977".

Un nome in particolare?

"Massimo Scolari, che si era laureato in Architettura a Milano nel 1969, molto preciso e fantasioso. Ora vive in Veneto, e mi viene ancora l’idea di tornare a fare qualcosa con lui".

Milano pare candidata a diventare la capitale mondiale dell’arte, nei pronostici del Financial Times. Grazie anche all’arrivo del gallerista Thadesus Ropac che aprirà una sede a Palazzo Belgioioso.

"Stranieri, certo, ne vedo tanti in giro. Trascinati dal turismo. Attratti dai grandi marchi della moda. Ci sono però meno milanesi: chi può vive fuori, e anche i giovani se ne vanno a studiare all’estero. Questa città, no, non la riconosco più".

Condivide lo smarrimento dell’architettura denunciato proprio da Gregotti?

"Quando, esattamente?"

Nel 2015 scrisse che Milano “soffre di grattacielismo”, perché l’affare prevale sull’interesse collettivo, il progetto è prodotto. Conseguenza: la crisi dell’architettura.

"La crisi, per la verità, l’avverto io. Langue la mia Galleria, certo legata ad architetti di un’altra epoca. Non così affollata come nel passato, quando anche la stampa mi seguiva con interesse".

Un grande giornalista, Guido Vergani, è peraltro il padre di sua figlia Viola, che l’affianca nella conduzione della Galleria .

"Guido era una persona di una simpatia unica, contagiosa: gran senso dell’umorismo, elegantissimo. Suo padre Orio era tra i fondatori del Premio Bagutta, di cui diventò vicepresidente dal 1976. Straordinaria, quell’epoca: l’amore per la vita e l’ironia permeavano tutto".

Recente, una mostra mix di design e architettura.

"L’abbiamo appena smontata: “About Now”, schizzi di interni, una ventina di ricami realizzati su disegno dell’architetto Beppe Caturegli da un gruppo di donne di etnia Hmong. Popolo di origine antichissima, oggi stanziato in Indocina, che pratica questa tradizionale tecnica tramandata da generazioni di madre in figlia".

Di madre in figlia, appunto, anche la sua Galleria si proietta nel futuro. Trampolino di lancio di giovanissimi artisti contemporanei. Ma ai maestri del passato dobbiamo continuare a guardare, giusto un esempio?

"Michele De Lucchi mi pare l’ultimo rimasto tra i grandi protagonisti dell’architettura e del design radicali dagli anni Settanta. Nel 2022 ho messo in mostra i suoi “legni cuciti”: piccole e armoniose architetture assemblate utilizzando la tradizionale tecnica di cucitura delle canoe Inuit. È un ricercatore appassionato, chissà, faremo ancora qualcosa insieme...".