Pinacoteca Ambrosiana, Aula Leonardi. Spazio di dimensioni perfette. Nell’ombra risaltano “Il Musico“, l’unico dipinto di Leonardo da Vinci rimasto a Milano, e altri di pittori leonardeschi. In ciascuno, autentici segreti. Non proprio tali per Monsignor Marco Maria Navoni, prefetto del Collegio dei Dottori della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Con un sorriso, confessa: "Vivendo in condominio con i capolavori, il rischio è assuefarsi". Diversa l’attitudine con cui si accostano gli uomini di scienza. Strumentazioni sempre più sofisticate e tecniche sempre meno invasive permettono accuratissime campagne d’indagini.
Proprio quel che è avvenuto per diradare il mistero sul “San Giovanni Battista e un paesaggio nello sfondo“, custodito nell’Aula. Lo ha adottato Banca Patrimoni Sella & C. attraverso la direzione artistica di cui è responsabile Daniela Magnetti. L’accompagna ancora l’emozione, nel ricordare l’intera giornata del 24 luglio scorso, in Ambrosiana, ad osservare l’opera dal vero e attraverso le lenti degli strumenti, per arrivare alla profondità fisica della superficie pittorica. E così poter rileggere o riscrivere la storia compositiva del quadro che interroga tutti almeno dal 1671 (allora è documentato nelle collezioni), con il sorriso un po’ beffardo e un po’ femmineo del bellissimo giovane ritratto. Presentati ieri al pubblico i risultati. E in un elegante libro dell’editore Cimorelli: "il San Giovanni Battista della Pinacoteca Ambrosiana. Nuovi studi su un enignatico leonardesco". Fra revisioni e nuovi visioni si muove con sapienza Edoardo Villata (che da Milano è stato chiamato al College of Arts, Northeastern University, Shenyang, China), grande esperto della bottega di Leonardo. Tanto esperto da osservare che sono "piuttosto leonardeggianti che propriamente leonardesche" le montagne nel luminoso paesaggio. Ben diverso dal bagno di tenebra da cui Leonardo fa emergere il giovane predicatore nel suo celebre capolavoro “Giovanni Battista“ del Louvre. Più coraggioso, il grande maestro mostra nel rilievo l’anima della pittura. Ce lo fa notare anche Filippo Timo, che nel volume dedica alla diagnostica per immagini un interessante saggio. Insomma, un “petit maître“, l’autore della discussa tavola. Di certo, non l’indisciplinato e spavaldo discepolo di Leonardo, Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaino (in arabo "piccolo diavolo"). Questa ipotesi, a lungo dibattuta, è stata proprio esclusa dalle indagini scientifiche che hanno messo a confronto diretto il San Giovanni con il Salvator Mundi, datato e firmato Salaino, entrato recentemente a far parte delle collezioni dell’Ambrosiana: confronto che i visitatori hanno sott’occhio nell’Aula, dove le opere sono affiancate. Comunuque, un pittore che si forma nel secondo decennio del Cinquecento, un milanese (o uno che stava a Milano), uno che accedeva ai materiali grafici vinciani, disegni e cartoni. E poichè il solo che si potesse permettere questa confidenza era Francesco Melzi (che un carico preziosissimo di disegni e cartoni aveva ereditato da Leonardo e portato in Italia), Villata conclude per l’attribuzione a un dilettante legato al Melzi da vincoli sociali o di amicizia stretta. Dilettante raffinatissimo, peraltro, che qui ha usato il lapislazzulo importato dall’Afghanistan, lungo la Via della seta, costoso come e più dell’oro: indizio di un’opera eseguita da un pittore di qualità per un facoltoso committente.