
Irama
Milano, 25 agosto 2020 - Cosa resterà» si chiedeva Irama cinque anni fa a Sanremo col pensiero alle passioni giovanili che gli scivolavano tra le dita. Poco, verrebbe da dire. Dopo la vittoria della 17° edizione di “Amici”, infatti, Filippo Maria Fanti non s’è più fermato. È tornato all’Ariston, ma tra i big, ha rivinto il serale di Maria in versione “speciale” e, durante il lockdown, in “Milano” ha trovato pure modo di condividere una riflessione sulla sua città adottiva (è nato a Carrara e cresciuto a Monza) assieme all’amico Francesco Sarcina. Ora è il momento di “Crepe”.
Filippo, dopo il successo di “Plume” ritenta la carta dell’ep. Perché? «Perché, in attesa dell’album, volevo tornare subito sul mercato con qualcosa che mi rappresentasse bene. Invece di far uscire un album dietro l’altro, ho preferito diversificare».
Di che “Crepe” parla? «Di quelle che lasciano intravedere cosa c’è dall’altra parte del muro. O dentro di noi. Tutti ne abbiamo e fanno parte della nostra struttura e della nostra vita. Per me rappresentano la varietà, l’ecletticità, quello che sono dentro. La crepa può diventare una ricchezza, basta pensare alla tecnica giapponese del ‘kintsugi’, che per impreziosire i vasi rotti usa rincollarne i pezzi con una colata d’oro».
Negli ultimi mesi è passato da “Milano” al successo di “Mediterranea”, una delle “hit” dell’estate. «Se in ‘Milano’ cercavo un po’ di luce in fondo al tunnel, ‘Mediterranea’ è arrivato come la boccata di aria fresca che ti dà la consapevolezza di non esserne ancora fuori, ma di essere sulla strada giusta. Fra l’altro, sempre venerdì prossimo, uscirà in tutto il mondo pure una versione latina di ‘Mediterranea’ con De La Ghetto».
L’immagine di copertina sembra rimandare a quel mondo dei nativi americani che frequenta ormai da un po’. «La mia non è appropriazione culturale, ma semplice ispirazione. Per i nativi ogni piuma rappresenta un merito mentre per me è un segno d’identità. A livello d’immaginario visivo, però, è un mondo che mi ha sempre influenzato. Anche se ad appassionarmi veramente è quello dell’antico Egitto».
Perché? «È un interesse che mi porto dietro fin da bambino e per entrare ancora più in quel mondo, ho provato addirittura a studiare i geroglifici».
Il serpente sull’addome e sulla mano se li è tatuati in onore del dio Ra? «Nella nostra cultura il serpente è il singolo del male, mentre nella loro è fonte di vita. Mehen era, infatti, il serpente del bene, guardiano della barca solare di Ra, mentre Apopi quello del buio e del caos. E nel sangue versato dalla loro lotta c’era la sintesi dell’essere umano».
Nella musica scorre molto sangue? «Bè, sì. Ma anche tanto colore. A proposito, in un brano di questo ep canto ‘con la pancia piena di sangue e di crema ne è valsa la pena’ citando a mio modo ‘Coda di lupo’ di Fabrizio De André, che ascolto follemente da quando ero bambino”.
Cosa le piace “follemente” oggi? «Stromae, anche se è ormai diverso tempo che non dà segni d’attività».