
Crimson King, tutti insieme per la foto ufficiale del tour
Milano, 5 novembre 2016 - Era un Duemila apocalittico, in cui l’uomo schizoide possedeva solo il superfluo, la fame divorava la nobile anima dei poeti e il napalm continuava a far strage d’innocenti, quello raccontato nel ’69 dai King Crimson tra i solchi del loro primo, sacrale, album “In the court of the Crimson King”. Le convulsioni del futuro prossimo venturo lette dal visionario Pete Sinfield attraverso la figura storica di Federico II di Svevia (giurano i cultori) hanno finito col segnare gli oltre 45 anni di cammino della band di Robert Fripp, e sono in scena oggi e domani sul palco degli Arcimboldi per due show all’insegna del tutto esaurito.
Una mobilitazione legittimata dall’allure della band che, a Fripp, ha affiancato Mel Collins, sax, Tony Levin, basso, Jakko Jakszyk, chitarra, e ben tre batteristi, Gavin Harrison, Jeremy Stacey e Pat Mastelotto. L’ultima personificazione di una ricerca sonora nobilitata nel tempo pure da altri fuoriclasse come Greg Lake, Bill Bruford, Ian McDonald, John Wetton, Adrian Belew, solo per citare i più famosi. Corposo il curriculum italiano degli attuali membri: Stacey ha suonato con Bocelli, Jakszyk con Battiato, Collins con Pino Daniele, Lucio Battisti, Sergio Caputo, mentre Harrison e Levin l’hanno fatto con Baglioni, ancora Battiato, Ramazzotti, Alice, Ron, Vasco, Finardi, Mannoia, Raf o la divina Patty. Al centro di tutto Fripp, artista superbo ma dal piglio dittatoriale, dotato di una tecnica magistrale che lo inserisce di diritto tra i chitarristi-icona del rock. Bill Bruford, uomo che da sempre ama l’iperbole, lo dipinge come un incrocio tra Stalin, il mahatma Gandhi e il marchese De Sade. Gli ci volle, infatti, un bel po’ di crudeltà nel ’74 per decretare la morte dei Crimson quando il successo di album epocali come “In the wake of Poseidon” o “Larks’ tongues in aspic” avevano finito col collocarli appena una spanna sotto i Pink Floyd. Seguirono anni convulsi, spesi da Fripp tra gli studi sul sincretismo religioso di Gurdjieff e collaborazioni con Eno, Bowie e Gabriel, prima di riprendere la strada maestra nell’81 con il clamoroso “Discipline”. Registrato dal vivo, ma senza pubblico (cancellato in fase di missaggio per ottenere l’effetto virtuale del disco in studio), il recente “Radical action to unseat the hold of monkey mind” offre una foto perfettamente a fuoco dei Crimson attuali; insinuanti, magniloquenti, inclini al recupero di canzoni che non trovavano esecuzione dai lontani anni Settanta. “Questi sono i King Crimson re-immaginati”, scrive Fripp nelle note che accompagnano il triplo cd.
E aggiunge:“Ciò che mi piace di questa formazione è che quello che sta facendo attualmente non è ciò che appare”. Dopo album come “Live at the Orpheum” del 2015 e “Live in Toronto” dello scorso febbraio, la scelta di documentare i concerti con un ulteriore progetto dal vivo sembra rimanere la più aderente a quella che è sempre più concepita come un perfetto amalgama di performer. Questo non toglie che gli inediti proposti ogni sera non possano trovare prima o poi anche una veste di studio.