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La linguista, saggista e attivista Vera Gheno, 49 anni
Milano – "Dovremmo instaurare con le parole una relazione sana perché solo loro ci permettono di cambiare il mondo". Questa la riflessione di Vera Gheno, sociolinguista e traduttrice che lunedì scorso ha portato sul palco del Teatro Carcano “Grammamanti”, il suo ultimo libro pubblicato da Einaudi.
Dopo oltre vent’anni di collaborazione con l’Accademia della Crusca, la studiosa prende per mano i suoi spettatori e li accompagna in un viaggio nel mondo della comunicazione; un’esperienza per imparare ad amare la lingua italiana, abbracciando le costanti evoluzioni che la contraddistinguono e accogliendo senza timore neologismi e giovanilismi. Per Gheno la parola diventa uno strumento fondamentale per conoscere il mondo e soprattutto se stessi.
Gheno, durante il suo spettacolo parla di “grammamante” e “grammarnazi”, due termini che ha coniato nel suo libro. Che cosa significano questi due neologismi?
"Per ‘grammamanti’ intendo le persone che desiderano sondare l’officina della lingua italiana, superando la superficie ed esplorando le molteplici sfaccettature che la caratterizzano: c’è un mondo da scoprire. I ‘grammarnazi’ sono, invece, coloro che si arroccano attorno al linguapiattismo, ovvero all’assunto che le parole siano sacre, immutabili e non possano mai cambiare nel corso del tempo".
Si parla tanto di ‘dittatura del politicamente corretto’ e una delle frasi più sentite è: “Ormai non si può più dire niente”: da cosa dipende questa chiusura verso i neologismi e verso nuove forme di comunicazione?
"In molti non sanno che il cambiamento nella comunicazione è assolutamente naturale: significa che la nostra lingua gode di buona salute. A scuola si parla tanto di grammatica ma poco di arte combinatoria, ovvero delle infinite possibilità che ogni parola possiede intrinsecamente in sé. Questo aspetto non si intuisce, va spiegato".
Per proprietà transitiva possiamo dire che una relazione spinosa con la lingua italiana è sintomatica di una chiusura nei confronti della società?
"Sono del parere che una maggiore conoscenza della lingua possa favorire un’apertura sociale nei confronti di chi consideriamo diverso da noi. La parola è il nostro intercapedine fra la nostra mente e la realtà che ci circonda".
Una questione spinosa riguarda il maschile sovraesteso: perché secondo lei non si tratta di una forma neutra?
"Secondo diversi studi di psicolinguistica il nostro cervello recepisce termini neutri come ‘avvocati’ o ‘amici’ automaticamente al maschile. E questo cortocircuito, nei più piccoli, può generare dei bias cognitivi, delle distorsioni".
Come instaurare una relazione sana con le parole senza diventare ‘grammarnazi’?
“Studiando e apprezzando la poliedricità della nostra lingua e del mondo che ci circonda. Imparare a convivere con questa complessità è a tutti gli effetti una delle grandi chiavi interpretative del presente”.