
Libri a confronto di Antonio Calabrò
Milano, 21 febbraio 2016 - MADRE. La vita, l’accudimento, la memoria familiare, l’amore, “cuore di mamma”. Ma anche l’attitudine a plasmare l’esistenza dei figli oppure l’inclinazione generosa a insegnar loro a volare. Madre accogliente, severa, invadente. Madre presenza e madre icona, sino alle melodie di Sanremo anni Cinquanta, “Son tutte belle le mamme del mondo…”. Adesso, perché no? anche madre in crisi. Su cui giocare d’ironia. Anche caustica. Come fa Marco Marsullo nelle pagine di “I miei genitori non hanno figli”, Einaudi. Ha diciotto anni, il protagonista. Genitori separati. Padre medico, con la passione dei boschi e dell’allevamento dei cani. Madre medico anche lei, tentata da ogni moda new age, indecisa a tutto, in balìa di fidanzati eccentrici e visioni strampalate. Il ragazzo vive con lei. Che non lo ascolta, non lo capisce, lo mette in riga ma poi non c’è mai nei momenti cruciali: se ne va a un corso di meditazione trascendentale proprio la sera in cui il figlio, alla vigilia del primo esame all’università, vorrebbe un consiglio fondamentale: “Posso accettare o no un diciotto?”. Commedia familiare divertente, irritante, sarcastica. E dolente: “Figli di colleghi di mia mamma più educati di me, meglio pettinati di me, meglio vestiti, più sorridenti, più seri, più diligenti, svegli, affettuosi. Ci sono figli di colleghi di mia mamma che, forse, sono anche più figli di mia mamma rispetto a me”. Si ama, nonostante tutto, quella madre. Anche quando finalmente ci si affranca da lei: “Ciao”.
ECCO, l’affrancamento. Che fa da perno di “Non tutte le sciagure vengono da cielo” di Thomas Meyer, Keller Editore. Lui è Mordechai Wolkenbruch, detto Motti, giovane ebreo ortodosso con la faccia alla Woody Allen, ossessionato da una madre che s’è messa in testa di fargli sposare una brava, pia ragazza, anche brutta, purché ebrea. Invadente, quella madre. Come da stereotipo. E obbediente, Motti. Ma tormentato. Finché incontra Laura, che non è né pia né ebrea. Ma straordinariamente seduttiva. Ed è quella seduzione che aiuta Motti a recuperare libertà. Ironie a parte, vale la pena indagare a fondo sulla figura materna. Come fa bene Massimo Recalcati in “Le mani della madre – Desiderio, fantasmi ed eredità del materno”, Feltrinelli. Da psicanalista di spessore, Recalcati prova a fare pulizia dei tanti luoghi comuni e, lavorando su testi letterati, clinici e biblici, rappresenta i diversi volti della maternità: le luci e le ombre, le ambivalenze, i ricatti amorosi, i conflitti tra il ruolo della madre e il desiderio d’una donna altra. E così s’arriva a capire che l’eredità materna “non è quella della Legge, ma quella del sentimento della vita, il suo dono è quello del respiro, il suo volto è il primo volto del mondo”. Si può andare più a fondo. E prendere in mano (riprendere, per le generazioni più anziane) un grande classico, come “Il matriarcato” di Johann Jakob Bachofen, ripubblicato da Einaudi (la prima edizione è del 1861). Il sottotitolo è impegnativo: “Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici”. Ma la lettura è quanto mai affascinante (nel tempo, aveva colpito Marx ed Engels, Rilke e Hofmannsthal, Hesse e Mann, Benjamin, Adorno e Fromm e, in tempi più recenti, ha ispirato molta letteratura femminista). Il matriarcato come stabilità, sicurezza e serenità, i miti femminili, le dee e gli aarchetipi della mater non solo nelle culture mediterranee, ma anche in quelle asiatiche, africane, Incas. Libro coltissimo. E lucidissimo. Ancora, a dispetto del tempo, di stimolante attualità.