
Rita Pavone e il suo talk musicale "Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro"
Come lei non c’è nessuno. E non è solo la (facile) parafrasi di uno tra i titoli più popolari del suo amato e immenso juke-box. Interprete di razza, attrice di sostanza, eroina del geghegè, ed ora pure narratrice, Rita Pavone il 5 maggio porta i suoi mondi al Manzoni col talk musicale intitolato "Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro". Talk per la presenza di Giampiero Mughini, musicale per quelle di Riccardo Bertuzzi alla chitarra e Fabio Gangi al pianoforte. "A Milano ho lavorato tantissimo in discografia e in teatro" premette. "Ecco perché è una città che amo e che ho sentito mia soprattutto durante la prima maternità, quella di Alex, quando con mio marito Ferruccio (Teddy Reno ndr) abitavamo in via Olmetto".
Questo è il piede nel passato e nel futuro, invece, cosa vede? "Quella fatta da Pierangelo Bertoli nella sua ‘A muso duro’ è una descrizione in cui ritrovo molto del mio carattere. Non sono una, infatti, che sta al palo, che si siede su ciò che è stato, ma una testarda che cerca costantemente di alzare l’asticella e mostrare sfaccettature della sua identità artistica ad alcuni magari sconosciute".
A proposito di asticella, una Rita inedita è pure quella che affiora da “Gemma e le altre” volume che, prendendo spunto dall’album omonimo uscito nell’89, la rivela sotto altre vesti. "Negli anni ’70 ’arrivo dei cantautori fece dimenticare alla Rca l’esistenza di interpreti come me, Morandi, Fidenco, Di Bari che nel decennio precedente, coi loro successi, avevamo contribuito ad affermarla in discografia. Fra l’altro in Italia tutti iniziarono a cantarsi le proprie canzoni, prosciugando quel bacino autorale a cui attingevamo noi che non ne scrivevamo. Così pensai di fare da sola, realizzando un concept album intitolato proprio ‘Gemma e le altre’ con la collaborazione di una ragazza italoamericana che si faceva chiamare Carolain (Laura Trentacarlini, ndr)".
"Gemma e le altre" raccontava un amore diverso, argomento delicato al tempo. "Ad ispirarmelo fu un film di William Wyler con Audrey Hepburn e Shirley MacLaine, ‘Quelle due’, tratto a sua volta dalla pièce teatrale ‘La calunnia’ di Lillian Hellman. Un lavoro portato nel ’55 proprio al Manzoni da Rossella Falk, Elisa Albani, Annamaria Guarnieri e Romolo Valli. Amo l’idea di cantare Gemma a Milano sul palcoscenico dove ha preso voce e sentimento 70 anni fa".
Un disco in anticipo sui tempi. "Già, mi torna in mente una frase detta da Luca Bizzarri, non ricordo in quale occasione: la Pavone era sempre avanti e quando noi arrivavamo lei era già ripartita. Per Gemma e le altre i tempi non erano maturi e, nonostante le magnifiche recensioni, non arrivò in radio come avrebbe dovuto. Avevo dato quei pezzi per morti e sepolti, quando i giornalisti nelle interviste ogni tanto hanno iniziato a ritirarmeli fuori, così ne ho messo qualcuno negli spettacoli. Dopo averli eseguiti due anni fa, a Cervia, sul palco della Milanesiana, Elisabetta Sgarbi mi ha chiesto di costruirci sopra dei racconti. Lì per lì è stato un colpo al cuore, poi mi sono detta: se me lo chiede una così… io ci provo".
Quindi questi 3 mesi e 29 giorni che la separano da un compleanno importante non la impensieriscono. Buona notizia per l’ex signorina che nel ’64 intitolò il suo secondo album “Non è facile avere 18 anni”. "Ero molto più preoccupata allora dei 18 che oggi degli 80, perché il mio essere donna non appariva ancora, almeno fisicamente. Non so ancora se ad agosto festeggerò, l’importante è sentirsi bene, stare in forma, e io - grazie al cielo - lo sono e, finché non sentirò che è arrivato il momento di appendere il microfono al chiodo, voglio andare avanti a fare le mie cose pensando più a Mick Jagger e a Tom Jones che all’ultima rivelazione delle hit-parade".
Dei tanti colleghi che hanno pubblicamente ammesso di essere suoi fans, con chi le piacerebbe incidere il duetto degli 80? "Con Morrissey… ma anche un bel rock Gene Simmons non sarebbe male. Se lo immagina il vampiro dei Kiss che canta con me?".
Eroina dei due mondi. "Nel ’65 ho cantato alla Carnegie Hall di New York, ma anche al Maple Leaf Garden di Toronto dove per i 23 mila biglietti staccati ricevetti il premio riservato all’artista femminile più seguita dell’anno, mentre nella categoria maschile a vincere furono i Beatles con 24.500".
Formidabile quel 1965. Ma papà Giovanni disse no al suo sogno americano. "Lui è stato il mio pigmalione, quello che s’è inventato di tutto per farmi arrivare. Il no più duro da accettare fu proprio quello al rientro dull’America, dove sarei voluta restare per imparare meglio il mio mestiere, visto che lì se vuoi sfondare devi essere un entertainer a 360. Papà non volle, non per tarparmi le ali, quanto per salvaguardare il mio fratello minore. Aveva, infatti, una storia con un’altra donna e se mamma fosse rimasta accanto a me oltre oceano, Cesare, al tempo dodicenne, sarebbe cresciuto, di fatto, senza genitori. L’America è un Paese dove dai un calcio ad una pietra e ci trovi sotto un diamante, ma devi stare lì. E io, purtroppo, al tempo avevo 19 anni mentre la maggiore età in Italia arrivava coi 21. Ma va bene così, visto che dilagai lo stesso nelle classifiche di mezzo mondo, a cominciare dal Brasile. Se negli anni Sessanta fossero già esistiti i Latin Grammy Awards, istituiti solo nel Duemila, ne avrei incassati a carrettate".