LORENZO
Cultura e Spettacoli

L’uomo che distrusse la moda

Bises Ci sono luoghi inevitabilmente legati a ricordi precisi come pellicole cinematografiche, quasi a poter mettere in scena quell’episodio di...

Bises Ci sono luoghi inevitabilmente legati a ricordi precisi come pellicole cinematografiche, quasi a poter mettere in scena quell’episodio di...

Bises Ci sono luoghi inevitabilmente legati a ricordi precisi come pellicole cinematografiche, quasi a poter mettere in scena quell’episodio di...

BisesCi sono luoghi inevitabilmente legati a ricordi precisi come pellicole cinematografiche, quasi a poter mettere in scena quell’episodio di anni e anni addietro in ogni dettaglio e frammento. Il Duomo, la Statale in Festa del Perdono, il negozio di Fiorucci. Quest’ultimo in occasione della mostra alla Triennale che celebra Elio Fiorucci e la sua storia, ha fatto riemergere dagli abissi tanti aneddoti milanesi. Visitando l’esibizione origliavo i presenti ed era tutto un “Ah io andavo sempre ogni sabato!”, “Quei jeans li conservo ancora”, e i più dolci “Sono passati parecchi anni ma mi sembra ieri”. Anche a me sembra ieri e ricordo perfettamente quel 1 novembre 1999, avevo 12 anni e la mia migliore amica Nicoletta era venuta a trovarmi da Roma facendomi una bellissima sorpresa. Venne spontaneo portarla da Fiorucci in San Babila tra coloratissimi neon, adolescenti più svegli di noi e la musica che ci scambiavamo su musicassette spedite per posta.

Eravamo felici e lo sapevamo, ci siamo riempiti di spillette da attaccare su zaini e giubbini di jeans, adesivi per la Smemoranda e fuori dal negozio una folla cantava con Ligabue ospite della prima puntata di TRL in onda su MTv. Mi sentivo al centro del mondo perché Fiorucci era proprio questo: un negozio visionario che andava oltre i limiti fisici, esplorava trend e culture, era provocazione e pensiero, più che commerciare un prodotto lo portava in vita tra la gente per strada. Era un luogo democratico perché da Fiorucci ci si andava così, per esserci e osservare, come fosse un ampliamento felice di una piazza che è sempre stata eredità della borghesia più snob. Mentre gli altri negozi erano tappezzati e rivestiti di pesanti boiserie, Elio Fiorucci svuotò all’osso l’architettura del negozio, dipingendolo di bianco opaco con grandi specchi e vetrine a tutta altezza. Tutto trasformabile e in continuo divenire, antitesi del concetto di moda che infatti distrusse come titolò ironicamente (ma non troppo) il Corriere della Sera ai tempi. Oggi pare tutto ordinario e quasi scontato ma cinquant’anni fa fu una rivoluzione gentile dell’estetica milanese.