Paolo Migone racconta splendori e miserie dell’italiano medio

Al teatro Manzoni “Italia di m… are”, scritto, diretto e interpretato dal comico livornese di DIEGO VINCENTI

Paolo Migone critica la degenerazione televisiva dei cabarettisti: «Salvo solo Albanese, Ale e Franz e il Crozza imitatore»

Milano, 28 aprile 2016 - Camice bianco, occhio nero, capelli per aria. Impossibile confonderlo: Paolo Migone. Con il suo mondo surreale di donne (in)sopportabili e uomini passivi, trascinati la domenica mattina all’Ikea. Ma dopo un po’ ci si stanca anche delle maschere più belle. Si ha voglia di fare altro. E così nasce “Italia di m… are”, scritto, diretto e interpretato dal comico livornese. Che dopo una lunga tournée, da oggi a sabato arriva ospite del Manzoni. Titolo poco brillante, d’accordo. Ma sul palco Migone si conferma uno dei comici più acuti e divertenti della sua generazione. Qui in one man show che mette alla berlina vizi e (poche) virtù degli italiani. Risate come bombe: non si salva nessuno.

Migone, questa volta si scaglia contro l’italiano medio?

«Sì, dopo tanti anni a ridere dell’uomo e della donna ho deciso di parlare d’altro. Ispirato anche da un po’ di guai. In un certo senso sono tutte storie vere».

Cosa è successo?

«Ma niente, dal commercialista furbo alla lunghissima attesa per essere operato a un neo, fino agli stupidissimi programmi ministeriali della scuola di mio figlio. Siamo privi di senso civico. Avevo un po’ sperato nel Renzi giovane e dinamico. Ma quando arrivano al potere cambiano tutti. È una questione di dna, noi italiani se freghiamo gli altri crediamo di essere ganzi, come si dice in Toscana».

Ci dia almeno un barlume di speranza…

«Il finale è quasi garibaldino, con un figlio di 16 anni non mi posso permettere di essere del tutto pessimista. Potremmo essere la nazione più bella del mondo ma mi dà fastidio vedere andarsene le intelligenze più brillanti mentre qui rimangono le teste dure come un leccio. Però a un certo punto tiro fuori Leonardo da Vinci, mi ci vede?».

Francamente no. Avrà anche lui l’occhio nero?

«No no, senza. L’occhio nero si trova meglio in estate, nelle piazze, fra i palloncini e le porchette. Comunque visto che mi avvicino ai 60 anni sto pensando a un nuovo spettacolo in cui non parlo e che porterò in giro per il resto delle mie stagioni. Si chiamerà “The last show”».

Potrebbe essere un’idea, anche perché non è un grande momento per la comicità.

«Da una parte ci sono quelli schierati, i comici di partito. Dall’altra quelli che fanno ridere parlando del nulla, come Pintus. Ma che noia scherzare sulle pubblicità in tv! I comici sono gli eredi della tradizione dei giullari, gente che provava a dire qualcosa, anche se ogni tanto gli tagliavano la testa. Il livello si è molto abbassato. Gino e Michele sono un po’ invecchiati, Colorado fa schifo, i giovani hanno poche idee, ora ci sono pure i talent, hai tre minuti per far ridere. E alcuni colleghi leggono addirittura il gobbo. Ma se togli l’improvvisazione, il lazzo, cosa rimane?»

Non si salva nessuno?

«Albanese, Ale e Franz, il Crozza imitatore, che quando ci parla della vita pare ganzo solo lui. Poi a me piacciono le cose surreali, come Gene Gnocchi. Ma ormai parla solo di calcio, l’abbiamo perso».