
Nella foto Paolo Bruni “Pau” voce, chitarra, armonica a bocca
Milano, 5 marzo 2016 - Il futurismo casalingo del video “I tempi cambiano”, con tanto di strizzata d’occhio all’Allen de “Il dormiglione”, non deve trarre in inganno. I Negrita sono sempre quelli con gli anfibi bene a terra di “Bambole” e de “La tua canzone”, come intendono dimostrare domani e lunedì all’Alcatraz, anche se stavolta a portarli in alto c’è l’amico Ligabue, coautore del nuovo singolo. Una lunga storia, la loro, iniziata tra i solchi di “L’han detto anche gli Stones” e poi proseguita attraverso la figura del produttore Fabrizio Barbacci, condiviso con il rocker di Correggio per un decennio o giù di lì.
Come mai Ligabue?
«La collaborazione è nata da uno stato di necessità: avevamo un buon pezzo tra le mani, ma il ritornello non ci piaceva per niente - ammette il frontman della band toscana Paolo “Pau” Bruni - ascoltandolo e riascoltandolo ci è sembrato vicino alle corde di Luciano e così l’abbiamo chiamato. Lui, che ha la sciolina sulla penna ed è una furia nello scrivere, ci ha tempestato di contributi; ha preso il ritornello e l’ha rimasticato a modo suo, cambiando un po’ anche la melodia con l’accortezza, però, di non snaturare il senso della canzone».
“I tempi cambiano” e “Quelli che non sbagliano mai” sono i due inediti di “9 Live & Live” il nuovo album dal vivo dei Negrita sul mercato dal 4 , impreziosito da un dvd con le immagini del concerto al Forum di Assago dello scorso aprile oltre che del docu-film “Under The Skin”. Un concerto legato al dvd?
«No - assicura Bruni- questo ritorno nei locali è completamente svincolato dall’album».
Avete riscoperto che piccolo è bello?
«Nei palazzi dello sport o nei teatri è tutto prestabilito, studiato, pianificato, mentre nei locali come l’Alcatraz possiamo recuperare il fascino primitivo dell’happening, del contatto diretto col pubblico. Tutto diventa molto meno celebrativo, senza sovrastrutture».
Insomma, tutta un’altra cosa rispetto agli show 2015.
«L’anno scorso, a fine tour, ci siamo guardati negli occhi per capire se era arrivato il momento di mettere la testa su un nuovo lavoro o se avevamo ancora voglia di suonare. È prevalsa la voglia di tornare in scena assieme al desiderio di recuperare quei club in cui non ci esibivamo da dodici anni. Magari ripescando canzoni che suonavamo un tempo nei piccoli spazi e da cui piazze e palasport avevano finito un po’ con l’allontanarci».
Quali?
«Innanzitutto il primo nostro grande singolo mancato: ‘“Militare”. Nel ’94, infatti, dopo il successo di “Cambio” non fummo abbastanza scaltri da puntare quel pezzo per consolidare la nostra posizione. Scegliemmo “Rumore”, buon brano ma, ad essere sinceri, più in sintonia con le attese della casa discografica che con quelle della band».
Ora che in Italia è stato abolito il servizio di leva, il recupero di una canzone contro la naja può apparire un tantino stravagante.
«L’abbiamo fatto innanzitutto perché volevamo rimettere le mani su motivi degli anni Novanta-primi anni Duemila via via scomparsi dalle nostre scalette, basta pensare a cose come “Negativo” o “1992”, e poi perché l’argomento di “Militare” è comunque associabile a temi caldi ancora di oggi come ricorda, ad esempio, lo sbarco dei droni americani a Sigonella».
Questo nuovo giro di concerti va avanti fino a primavera. In estate poi che farete?
«Delle sane vacanze perché, dopo quattro anni di attività intensissima, è ora di tirare un po’ il fiato. E di farlo tirare pure ai nostri fans. È dall’uscita di “Dannato vivere”, infatti, che non ci fermiamo un attimo. Abbiamo bisogno di prenderci i nostri tempi anche perché stiamo pensando di costruirci una Casa Negrita nei dintorni di Arezzo in cui far nascere la nostra musica. Abbiamo in mente uno studio nelle campagne del Casentino che ci permetta di vivere a contatto con ciò che stiamo facendo. Anche con la spina staccata rimaniamo tre amici molto affiatati e questo fa sì che la convivenza fra noi non sia un problema».
di ANDREA SPINELLI