
Mario Perrotta con “Nel blu“, dal 18 al 23 marzo al teatro Franco Parenti dopo il recente debutto emiliano
"Io voglio cantare la felicità. Anche se non esiste, mi voglio illudere che esista, devo credere che esista". Pare che ripetesse così, Domenico Modugno. A conferma di uno spirito piuttosto irrequieto, sotto i ritornelli nazional-popolari. Figura iconica. Capace di attraversare le generazioni e i confini, di un’Italia che correva verso il boom ma intanto emigrava in massa. Dentro e fuori la penisola. Eppure si era felici? Chissà. Un magma artistico e sociale. Che Mario Perrotta ha deciso di indagare con "Nel blu", dal 18 al 23 marzo al Franco Parenti, dopo il recente debutto emiliano. E un gran bene si dice di questa nuova produzione Ert. Con l’attore e drammaturgo leccese (quattro premi Ubu in bacheca, due Hystrio) a raccontare la complessità di un Paese, inseguendo le avventure di uno dei suoi simboli. Che le braccia aperte a Sanremo mentre cantava di volare, ancora ce le si ricorda. E qualcosa vuol pur dire. Figli entrambi di quella Puglia da cui Modugno partì per fare l’attore. Prima di scoprire che il destino aveva altri progetti. "Si adattò a quello che la vita gli stava donando – spiega Perrotta –, non senza un tormento interiore. E questo è esattamente ciò che fece in quegli anni il paese intero: colse al volo ogni opportunità laddove era possibile coglierla, trasferendosi in massa dalle campagne alle città, da ogni angolo di Italia verso ovunque fosse possibile raccogliere una felicità raggiungibile, di piccole cose. Ma è anche il racconto di un’esistenza guascona e testarda, in cui i musicisti con me sono l’altra voce di Domenico Modugno". Ovvero l’ensemble composto da Vanni Crociani, Giuseppe Franchellucci e Massimo Marches. Sul palco con Perrotta a intrecciare i fili dell’esistenza con quelli di un repertorio su cui siamo cresciuti. Verrà da canticchiare. Repliche fino a domenica 23 marzo.
Diego Vincenti