Una famiglia perfetta. Pare la pubblicità del Mulino Bianco. Ma se non fosse così? A teatro le case nascondono crepe profonde. E quella dei Price ha fondamenta fragili. Dinamiche disfunzionali. Che rischiano di far crollare la deliziosa villetta dove vivono Bob e Fran con quattro figlioli. Punti di vista differenti. Su cui si sviluppa “Cose che so essere vere“ di Andrew Bovell (suo il fortunatissimo “When the rain stops falling“ de Lacasadargilla, qualche tempo fa). Commedia malinconica. Prodotta dallo Stabile di Torino. Da stasera a domenica al Franco Parenti per la regia di Valerio Binasco, anche in scena insieme a Giuliana De Sio. Con loro Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano e la brava Stefania Medri.
Giuliana, com’è allora questa Franny?
"Una grande madre. Ossessiva, compulsiva, molesta. Ha la pretesa di leggere i pensieri dei figli e ci azzecca pure. Ma la cosa bella è che nonostante i difetti, alla fine viene comunque santificata".
Santa subito?
"Sì, perché chiaramente ha un senso materno eccessivo, con questa ansia di controllo che la divora. Ma è una donna che quando cade si rialza. Sempre. È lei che tiene in piedi tutto. Il marito invece fa tenerezza, viene voglia di abbracciarlo, adoro come lo interpreta Valerio. Un sessantenne invecchiato male, fragilissimo, un po’ dismesso rispetto all’esistenza. Mentre la moglie quella vita la vuole vivere ancora e continua a progettare".
Ma cos’è che fa crollare tutto?
"Il solo fatto che si siano sposati con l’idea di mettere in piedi la famiglia perfetta, non può che presupporre di cadere nell’infelicità. Poi ci sono i figli. Tutti e quattro a fare scelte per allontanarsi da casa, abbandonando quella linea retta idealizzata che avevano tracciato i genitori. In compenso si amano disperatamente ma non possono evitare di farsi del male".
La famiglia non se la passa mai bene a teatro.
"Perché è un’istituzione altamente imperfetta che per tanti rimane l’unica possibilità di sopravvivere, facendosi forza a vicenda. Ma nonostante tutto, Bovell non propone una tesi, non si perde in spiegazioni. È la vita".
Come si sente nei panni di una donna così materna?
"Senza figli temevo di non sapere come interpretarla. Di solito ho sempre fatto madri disfunzionali, perfino infanticide. È la prima volta e mi piace. Per altro è un periodo bellissimo, dove faccio teatro di qualità e mi riempiono di premi".
Lei ha cominciato proprio qui al Franco Parenti.
"Avevo 19 anni, la prima regia di Andrée Ruth Shammah, “La doppia incostanza“ di Marivaux. Si chiamava ancora Pier Lombardo. Ci sono legatissima, ora è un centro culturale dalle atmosfere europee".
Aveva già capito che sarebbe stata la sua professione?
"Ero in trappola dopo il successo dello sceneggiato Rai “Una donna“, seguito da 6 milioni di telespettatori. Poi ho come cercato di difendere quella scelta, altrimenti chissà cosa avrei fatto. All’epoca avevo ancora una bella testa, magari avrei indagato altro, con buoni risultati".
Dopo il Duse, fra poco riceverà quello dell’Anct, l’Associazione dei Critici: come vive i premi?
"Benissimo. Vedo quello che succede ogni sera, le reazioni del pubblico. Sento la potenza che ho sul palco. E non sono una che si perde in mille cose, faccio solo questo e mi viene bene. Quando sono in tournée vivo per la sera, per tornare in scena. Non mi distraggo con nulla".
Ma è vero che i diritti del testo sono stati acquistati da Nicole Kidman?
"Sì, ci farà una serie e credo lo voglia portare anche a teatro".
Le piace l’idea?
"Guardi, non me ne frega nulla. Mi piace più pensare al Gabbiano che farò con Filippo Dini".
Quindi Arkadina?
"Per forza. Di nuovo una madre disfunzionale. Ma sono felicissima di fare il mio primo grande classico teatrale".