ELVIO GIUDICI
Cultura e Spettacoli

‘Il nome della Rosa’ alla Scala, uno spettacolo stupefacente (ma il libretto è di una lunghezza abnorme)

Prima mondiale a Milano per l’opera ispirata al capolavoro di Umberto Eco. Alcuni momenti musicali bellissimi con un cast di alto livello. Il direttore Metzmacher superbo. Lo scenografo Fantin straordinario demiurgo: ogni scena un prodigioso mix di sfrenata fantasia e raffinata perfezione tecnica

Al Teatro alla Scala “Il nome della rosa” di Francesco Filidei, ispirato all’omonimo romanzo di Umberto Eco, libretto di Filidei e Busellato

Al Teatro alla Scala “Il nome della rosa” di Francesco Filidei, ispirato all’omonimo romanzo di Umberto Eco, libretto di Filidei e Busellato

Milano – Attesissima, la prima mondiale che alla Scala ha presentato Francesco Filidei volgendo in musica ‘Il nome della Rosa’ di Umberto Eco. Come punto ispirativo di partenza, Filidei s’è chiesto “quali sentieri avrebbe percorso Eco scrivendo non un libro ma un’opera”. Domanda intellettualmente suggestiva, teatralmente infelice. Se infatti, alla lettura (nella quale il tempo lo decide il lettore), nel salire su per il grande tronco narrativo del romanzo sono affascinanti i continui scantonamenti lungo rami i più diversi di quel tronco, a teatro la cosa affascina parecchio meno. Lunghissimi elenchi di libri e pietre; estese frasi in latino – medioevale, per giunta - alternate ad altre in greco, tedesco, francese: sbrecciano alquanto una narrazione già intricata di suo.

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Diversi momenti musicali bellissimi (uno per tutti lo splendido finale primo che descrive la tentazione della carne da parte di Adso) e molti piuttosto belli, vivificano lo schematico rigore testuale con una scrittura marcatamente polistilistica che oscilla tra parole frantumate nei loro dittonghi - la cui tensione si vorrebbe affidata a pulsioni ritmiche che però si sfilacciano spesso – e addensamenti gregoriani o fluidificazioni madrigalesche molto ricercati e di forte suggestione, entro cui s’aprono rapide folate di melodia rapinosa: ma la tenuta narrativa si affloscia non di rado, faticando specie nel prim’atto a reggere l’abnorme lunghezza d’un libretto che di molto guadagnerebbe da una robusta potatura.

Alla Scala la prima assoluta del Nome della rosa, la nuova opera di Francesco Filidei diretta da Ingo Metzmacher per la regia di Damiano Michieletto
Alla Scala la prima assoluta del Nome della rosa, la nuova opera di Francesco Filidei diretta da Ingo Metzmacher per la regia di Damiano Michieletto

Se il grande teatro musicale ha la musica che sospinge lo spettacolo, qui accade per lo più l’inverso: uno dei più stupefacenti spettacoli messi in scena dalla Scala negli ultimi anni. Il team Damiano Michieletto regista e Paolo Fantin scenografo, da sempre indivisibile, stavolta vede quest’ultimo come straordinario demiurgo: prodigi scenici uno via l’altro, a cominciare dall’Abbazia sintetizzata in una parete trapezoidale nera e lucida sul fondo, col coro piantato su due file sovrapposte in alto (è quindi la stessa Abbazia che “canta”: idea strepitosa), al cui centro pende dall’alto e in certi momenti scende fino in basso la misteriosa Biblioteca, ottagonale intrico concentrico di veli bianchi sospeso su labirinto di neon che cambiano colore e al cui centro pende una croce che alla fine prenderà fuoco mentre ad uno ad uno i veli cadono a terra.

Il Nome della rosa, la nuova opera di Francesco Filidei diretta da Ingo Metzmacher per la regia di Damiano Michieletto
Il Nome della rosa, la nuova opera di Francesco Filidei diretta da Ingo Metzmacher per la regia di Damiano Michieletto

Un portentoso groviglio scultoreo “rettangolizza” la struttura ad arco del portale dell’Abbazia, frantumandosi a poco a poco e facendone uscire lemuri nudi che circondano Adso, sorta di resurrezione della carne mentre il coro scandisce l’Apocalisse di Giovanni, a presagire quanto di orrore seguirà, momento musicalmente e visivamente indimenticabile; una statua della Vergine avanza dal fondo su un crescendo orchestrale diventando sempre più gigantesca; stupende materializzazioni dei codici miniati coi loro favolosi bestiari; scorpioni che strisciano su bianche pareti e infiggono la coda mortale nella carne del bibliotecario Malachia: ogni scena, un prodigioso mix di sfrenata fantasia e raffinata perfezione tecnica.

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Esecuzione musicale perfettamente all’altezza d’un compito particolarmente impegnativo. Ingo Metzmacher dirige superbamente un’orchestra e un coro – entrambi di proporzioni colossali - in forma smagliante; cast foltissimo e di alto livello, tra cui ricorderò a lungo Roberto Frontali nella parte di Salvatore (testualmente difficilissima, uno dei prodigi più alti di Eco), Owen Willetts come Malachia, un’irriconoscibile Daniela Barcellona come Grande Inquisitore, la splendida voce del basso Gianluca Buratto, il finissimo gioco accentale di Carlo Vistoli.