Milano, 2 marzo 2017 - Proprio ieri Lola Ponce e Giò Di Tonno hanno festeggiato i nove anni della vittoria a Sanremo con “Colpo di fulmine”, trionfo eurovisivo di un sodalizio che la coppia ripropone da questa sera al LinearCiak tornando a vestire i panni di Esmeralda e Quasimodo nel “Notre Dame de Paris” di Riccardo Cocciante e David Zard. Lo spettacolo più visto del 2016 - 179 repliche in 23 città diverse con oltre 700 mila biglietti venduti - che torna a Piazzale Cuoco fino al 19 marzo con la presenza in scena di Vittorio Matteucci nel ruolo di Frollo, di Graziano Galatone in quelli di Febo, Matteo Setti in quelli di Gringoire. Ne parliamo con Giovanni “Giò” Di Tonno, 43 anni, per cui quella del campanaro gobbo è diventata ormai quasi una seconda vita. “Anzi, un tatuaggio sulla pelle. Questa riedizione con il cast originale sta andando al di là delle più rosee aspettative e tanto favore lascia immaginare che la strada di Notre Dame sia ancora lunga”, spiega lui.
Nel dramma di Hugo come a Sanremo, l’alchimia tra lei e Lola rimane speciale.
«Forse è dovuto tutto al fatto che in scena ci amiamo per davvero. Anche se poi a casa ciascuno ha la sua famiglia, i suoi figli, la sua vita. È stato così pure all’Ariston dove ci siamo letteralmente mangiati il palco. Nel nostro duetto abbiamo messo mestiere, complicità, ma pure sentimento vero. Quando hai la telecamera ad un metro dal naso, d’altronde, il pubblico non lo inganni».
Cosa ha scoperto di Quasimodo che non conosceva prima?
«Portare in scena un personaggio emarginato, estremo, m’ha messo dentro un gran rispetto verso chi quel tipo di disagio lo vive per davvero. Diciamo che quell’interpretazione mi ha aiutato a capire un po’ di più l’animo umano».
Ma nei panni di Quasimodo è più Cocciante lei o Fiorello quando vi imita?
«All’inizio mi sono adattato molto al personaggio, rischiando di diventare quella caricatura che Fiorello ha centrato in pieno. Dopo un po’ di anni l’ho fatto più mio. Confesso, però, che al provino, terrorizzato dal giudizio supremo di Cocciante, ero molto Fiorello».
Quindici anni logorano?
«Sì se finisci con l’andare contro il motivo per cui fai musica, ma se ti prendi delle vacanze riesci ad evitare la routine».
Ma Cocciante l’ha perdonata per averlo imitato da Conti?
«Non ne abbiamo mai parlato. Però mi hanno detto che s’è molto divertito”.
Ed ora?
«Forse mi sono montato la testa, ma sto pensando ad un musical, anzi ad un’opera popolare, per dirla con Cocciante, tutta mia; è ambientata nel Seicento e ho appena finito di scriverla».