
Pasquale Panella
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Panella, ma Vito Taburno esiste o no? “Certo, anche se ormai centenario. Vanitoso com’è, ha iniziato ad abbassarsi l’età: lo scorso anno diceva di essere nato nel ’20, mentre ora nel ’21 perché il suo motto è: sono centenario e sempre lo sarò".
Dove ha iniziato la sua attività? "In Etiopia, negli anni Quaranta, dove faceva pianobar affiancando a celebri standard del tempo alcune sue composizioni. Uno dei pezzi dell’album, ‘Formiche rosse, farfalle nere’, ad esempio, è frutto della conversazione con Curzio Malaparte davanti ad un drink. Nessun brano del disco è un singolo, ma sono tutti singolari; esempi di teatro cantato, ballabile, frutto di una scena musicale perduta nel Ventesimo secolo e ritrovata nel Ventunesimo".
Da dove viene Taburno? "Dal Sannio, dove si trova il monte col suo cognome, ma è cittadino del mondo".
Sulla copertina dell’album c’è una foto di Setti che passeggia lungo il Naviglio. "Sì, lo scatto lo coglie di spalle mentre s’incammina verso il lucóre nebbioso di questa città. Matteo possiede un registro abbastanza diverso da quello roco e baritonale di Vito, però ha una voce talmente bella da consentirgli di affrontare pure repertori non facili, come quello di Freddie Mercury che ha omaggiato più volte in passato".
Taburno racconterà mai la sua storia in un’autobiografia? "È più possibile che voglia fare del teatro musicale; con Setti, e magari io stesso, a dare voce sulla scena alle sue canzoni e ai suoi pensieri. Ogni suo pezzo, infatti, nasce da una consapevolissima aneddotica situazionale o situazionista. Ma sulle tante storie intrecciate da Vito nelle sue composizioni vedrei benissimo pure una serie tv".