DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Per amore Belinda parla al mostro. E la favola ci porta oltre i pregiudizi

Chiara Guidi mette in scena in prima assoluta al Piccolo la sua versione del classico “La Bella e la Bestia“

Per amore Belinda parla al mostro. E la favola ci porta oltre i pregiudizi

Un momento di “Il mostro di Belinda. Metamorfosi di un racconto“ da domani al 17 al Piccolo Teatro Studio

"Per il nostro teatro di ricerca, confrontarsi con gli infanti significa porsi in dialogo con ciò che vive prima della definizione, dello sguardo. Un mondo che, attraverso la favola, scatena dentro di noi una reazione profonda. Non a caso in passato le fiabe erano raccontate agli adulti, spinti in uno spazio che ancora è in grado di nascondere qualcosa e che fatichiamo a mettere a fuoco, perché è un percorso difficile liberarsi dall’immaginazione e dall’alfabetizzazione". Affascinante parlare con Chiara Guidi, fondatrice a inizio anni ’80 della Socìetas Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci. Il pensiero critico in equilibrio fra tensione teorica e grammatica scenica. A comporre un linguaggio dal tratto autoriale, inconfondibile. Che da tempo ha deciso di declinare in un teatro per l’infanzia anomalo, capace di parlare agli adulti.

Possibile? Assolutamente sì, nonostante l’opinione diffusa di quanto siano noiosi gli spettacoli per i più piccini. In questo caso si gioca su un campo diverso. Dove i suoni e le musiche divengono punti centrali di un’indagine ramificata, su cui nel 2009 aveva poggiato anche una indimenticabile edizione del Festival di Santarcangelo. Tasselli diversi. Uniti sotto la superficie. Che da domani si ricompongono per “Il mostro di Belinda. Metamorfosi di un racconto“, fino al 17 novembre in prima assoluta al Piccolo Teatro Studio, che produce lo spettacolo insieme alla Socìetas. Scelta preziosa quella del palcoscenico di Claudio Longhi. Qui a proporre una ridefinizione de “La Bella e la Bestia“, assorbendo archetipi, smontando canoni. "Belinda è la più piccola della famiglia – sottolinea Guidi –, incarna una straordinaria bellezza e bontà. Lo rivela in tutte le cose che compie. Finché un giorno la Bestia mostruosa la chiama e lei, per amore, le risponde accettando di vederla e di parlare con ciò che è considerato brutto e cattivo. Perché lo fa? Per salvare un uomo, suo padre, pur rischiando la vita. E così una parte di lei accoglie la Bestia e una parte della Bestia accoglie Belinda. Come avvenga non si sa, ma è necessaria una lotta per andare dove qualcosa si nasconde". Un giardino. La casa della Bestia, il luogo della trasformazione. Da cui emergono i profili dei due protagonisti. E una terza figura, forse il padre. Composizione visiva suggestiva, affidata in scena a Maria Bacci Pasello, Eugenio Corniţel, Alessandro De Giovanni. Intorno a loro, un coro di voci, anche infantili. Oltre alle composizioni sonore di Scott Gibbons, storico collaboratore di Castellucci.

"Di fronte a un’opera come la Bella e la Bestia sento la necessità di andare a fondo – conclude la regista –, comprendere cosa la caratterizzi. Perché ciò che appare chiede profondità, il riconoscibile nasconde un interrogativo, ciò che definiamo necessita di una pausa, di un arresto. Per sospendere ad esempio il nostro giudizio, le categorie attraverso cui etichettiamo le cose, il bello e il brutto. Cézanne diceva che la natura vive in profondità, non in superficie. Ed è lì che scruto la relazione che abbiamo con l’infanzia. I bambini giocano meglio di noi, sanno osservare la complessità, vedono nella sedia un cavallo. Perché allora attraverso di loro non recuperiamo un aspetto fondamentale: il nostro essere vivi?". Età consigliata, dagli 8 anni.