Milano, 10 settembre 2024 – A mali estremi. In tour la formula “attorno a me l’inferno del rock, ma in cuffia l’Orchestra Casadei”, adottata da Piero Pelù per salvarsi le orecchie dai postumi dell’acufene che lo perseguita ormai da tempo, ha funzionato. E venerdì il “ragazzaccio” di Via de’ Bardi sbarca al Lake Sound Park di Cernobbio per alzare il volume delle sue “Cangaceiro”, “Novichock” o “Toro loco” mantenendo negli auricolari un suono da festa nelle aie di Romagna. “Purtroppo oggi questa è l’unica formula che mi consente di tenere concerti” ammette il “Diablo”, 62 anni, al termine della tranche estiva di quel Deserti Tour che l’11 e 12 novembre gli regala pure la torcida dei Magazzini Generali di Milano.“Se avessi nelle orecchie un suono simile a quello che offro al pubblico, dopo mezz’ora sarei costretto a scendere dal palco. Per sempre”.
Dura per un rocker vedersi costretto a camminare sul filo.
“Assolutamente sì. Però il medico è stato chiaro: devo fare molta, molta, attenzione ai volumi. Credo, però, che al di là degli amici, della famiglia, delle persone che mi vogliono bene, la musica sia una medicina incredibile, ti dà una forte motivazione nell’affrontare le difficoltà”.
A lei non sono mancate. Prima la brutta caduta di due anni fa sul palco dell’Alcatraz che ha rischiato di spezzarle il collo, poi lo shock acustico in sala di registrazione da cui nasce l’acufene, infine la depressione seguita allo scioglimento definitivo dei Litfiba.
“Già e in questo disastro sono riuscito comunque a scrivere e pubblicare un nuovo album, ‘Deserti’, di cui sono felicissimo. E lo sono pure i fan, che nei concerti lo cantano a squarciagola; fatto non proprio scontato se si tiene conto della varietà che caratterizza la mia tribù, messa assieme in 44 anni di carriera, sia con il gruppo che da solo, e quindi fatalmente legata a questo o a quel periodo. A un laureando che volesse fare la tesi su un target di pubblico estremamente variegato e complesso suggerisco il mio”.
La nuova musica trova molto spazio nello spettacolo?
“Di ‘Deserti’ faccio 6 canzoni perché è un album a cui credo molto. Come credo molto in brani del passato, tipo ‘Segni in faccia’, ‘Sorella notte’, ‘Esco o resto’, a cui questo concerto offre nuova visibilità, scatenando la folla così come facevano classici lasciati fuori scaletta per una volta, quali ‘Il mio corpo che cambia’, ‘Regina di cuori’, ‘Tex’ o ‘Lacio drom’. Un tempo per una scelta del genere i fan mi avrebbero fatto la pelle, oggi se ne vanno via contenti lo stesso, forse anche per la novità di far interagire le canzoni con immagini della natura che ho girato io stesso l’anno scorso, quando provavo a tirarmi fuori dal buco nero della depressione”.
In “Deserti” c’è pure una versione remix de “Il mio nome è mai più” realizzata nel venticinquennale della pubblicazione, che però non trova posto in scaletta.
“Qualche volta la faccio e viene molto bene, grazie all’impatto di una band devastante che vede il giovanissimo Amudi Safa alla chitarra, Luca “Mitraglia” Martelli alla batteria e Max Gelsi al basso. Quando non l’eseguo, metto in scaletta ‘Bomba boomerang’: oggi più che mai va denunciata la follia cieca della guerra. Che la diplomazia mondiale, a cominciare dall’Onu, non abbia la forza di mettersi nel mezzo tra Russia e Ucraina, Israele e Palestina, lo trovo veramente impossibile. È insopportabile vedere i civili morire in maniera così violenta e spudorata. Non ce l’ho con Israele, ce l’ho con i sionisti e con un governo che di democratico ha ben poco. Neppure Putin, che è una belva, riesce a fare quel che fa Netanyahu a Gaza”.
E l’Italia come la vede oggi?
“Nel cassetto ho una canzone intitolata ‘Siamo tutti figli di Silvio’. L’ho scritta 12 anni fa con l’intenzione di condividerla con gli Elio e le Storie Tese, poi non se n’è fatto nulla. Il principio vale ancora: grazie anche all’incompetenza delle sinistre, almeno di quelle che si sono alternate fino a un paio anni fa, in Italia riescono a prendere il potere solo eredi morali di Silvio. La propaganda berlusconiana ci ha insegnato che le persone si riescono a manipolare come si vuole. Di una cosa, però, credo che gli si debba essere grati: essere riuscito a interrompere l’uso degli attentati e delle bombe da parte delle destre estreme”.
Per rivederla a Sanremo bisognerà attendere la nascita di un altro nipote?
“Il secondo è già arrivato, ma sono rimasto a casa. Quella del Festival è stata una bellissima esperienza. Ero lì per raccontare una cosa e l’ho fatto, anche se poi Amadeus ha preferito virare parzialmente il significato di ‘Gigante’ in chiave sentimentale. Originariamente avevo scritto, infatti, quel pezzo per i ragazzi del carcere di Nisida con cui avevo partecipato a un progetto voluto dal sindaco De Magistris. Poi m’è è arrivato il nipotino, Rocco, e ho pensato che tra nascita e rinascita potesse starci un bel parallelismo”.