“Un altro giorno divino”. C’è pure un po’ di Samuel Beckett in quel “Giorni felici” con cui La Rappresentante di Lista riprende oggi il cammino discografico dopo l’exploit sanremese di “Ciao ciao” e dell’album “My mamma”. Anche se Veronica Lucchesi non si sente poi così sepolta nel cumulo di sabbia della Winnie portata sul palco del Piccolo da Strehler col parasole, la lima per le unghie (e il revolver) di Giulia Lazzarini. Anticipato dai singoli “Paradiso” e “La città addosso”, il nuovo disco torna a viaggiare tra angosce, dubbi e felicità inattese confermando la ditta Lucchesi-Dario Mangiaracina sui livelli raggiunti. Fra dieci giorni parte da Trento il tour nei club atteso il 13 novembre pure al Fabrique.
Da cosa nasce “Giorni felici”?
Lucchesi: “Aggiungiamo complessità all’argomento, i nostri ‘Giorni felici’ li pensiamo come un punto di domanda rispetto a quel che viviamo adesso, ma anche a quel che abbiamo attraversato. Mi fa impressione pensare che a volte ci si costringa a una felicità forzata. Come canto in un brano, “la televisione ha detto che tutto è a posto“. Sembra quasi che qualcuno voglia silenziare possibili alternative a un sentimento incanalato verso un’unica direzione, togliendo tutta la parte del dolore, degli anni che passano, delle difficoltà da affrontare, che si porta dietro. Da qui la paura dell’imprevisto e del manifestarsi di un sentimento magari non pianificato”.
Un viaggio dentro di voi.
Lucchesi: “Nella costruzione del disco ci siamo ritrovati su una montagna russa sentimentale, con pulsioni a volte contrastanti originate da una rabbia latente, mista a sofferenza nell’osservare i tempi”.
Mangiaracina: “A volte è stata solo l’illusione di attraversare giorni felici e poi ritrovarci, come i Willie e Winnie di Beckett, sepolti fino alla testa, ma convinti di vivere ‘another heavenly day’”.
Undici nuove canzoni attinte dal quotidiano.
Lucchesi: “Tutto parte dal mondo che scrutiamo attraverso lo spioncino della porta. Ma anche da quell’autoanalisi che ti permette di scoprire quanto, in fondo, certe dinamiche personali siano lo specchio di quel che stai vivendo. Di quello che il mondo ti rimanda. Una felicità disturbata, come il palloncino sulla copertina dell’album che vola oltre il tetto di casa, il luogo più rassicurante delle nostre esistenze capace però in certi momenti di trasformarsi in altro lasciando che quelle quattro mura custodiscano situazioni di una violenza inaudita, con un divano che spalanca le fauci e ti inghiotte originando traumi da curare sul lettino dello psicologo”.
Il successo di “Ciao ciao” quanto ha condizionato questo vostro ritorno?
Mangiaracina: “Un peso l’ha avuto. Dire che quelli del Festival sono stati giorni felici significherebbe raccontare una storia falsata che non tiene conto dello stress a cui ti sottopone quella enorme esposizione mediatica. Pure il fatto che una storia decennale si ritrovi sintetizzata da una canzone di tre minuti. Questo disco è anche un po’ una reazione a quella cosa lì”.
Lucchesi: “Nonostante la canzone avesse il dna della hit, abbiamo cercato di portare sul palco dell’Ariston una complessità, un’alternativa, un testo inquietante, per dare una scossa”.
In linea con la vostra storia.
Mangiaracina: “C’è una continuità tra questo disco e il nostro percorso. Ce ne accorgiamo ora che siamo al lavoro sulla scaletta del concerto nel vedere come al suo interno passato e presente dialoghino. Anche se io prima avevo i capelli rosa e lei biondi, siamo sempre gli stessi. Ovvio che il tempo trasformi le cose, ma la strada rimane una”.
Nel frattempo sono successe tante cose. Siete tornati a Sanremo ospiti di Annalisa con una fortunatissima cover di “Sweet Dreams (are made of this)” degli Eurythmics, Veronica ha debuttato sul grande schermo in “Gloria!”di Margherita Vicario. Esperienze che hanno impattato sulla realizzazione di questo album?
Mangiaracina: “Tutte esperienze esterne che ci hanno aiutato a capire meglio chi siamo. Nel nuovo album c’è un verso che dice “vai, vai, ragazzo, vai, dimmi che ci sei e torna quando vuoi“”.
Lucchesi: “Ecco questo è lo spirito con cui usciamo dal gruppo per poi rientrarci e metterci tutte le nostre esperienze, ma pure i nostri no, le nostre disobbedienze, le nostre gioie. Un luogo in cui ancora oggi ci riconosciamo e per questo rimane così vivo, pulsante. Traduce bene quel che viviamo”.
Cosa c’è nel vostro parcheggio dei sogni?
Lucchesi: “Stiamo provando a costruire un tour internazionale, traducendo pure delle canzoni, per provare a vedere che effetto all’estero la nostra musica. Un’idea che è nell’aria già da tempo, ma per una serie di circostanze non siamo ancora riusciti a realizzare. Trovo allettante metterci in gioco in contesti diversi dove la musica ha un ruolo diverso che da noi”.